Oltretevere il nome di Giorgia Meloni viene appena sussurrato. Non c’entra il singolare rapporto della leader di Fratelli d’Italia con il suo angelo custode a cui ha dato persino un nome.

È, piuttosto, la tiepida esultanza di quei prelati e porporati rimasti in silenzio per anni, bollati come anti bergogliani o nostalgici di una chiesa ormai tramontata, quella dove la morale cattolica era in grado di mantenere l’equilibrio tra il mondo politico di Silvio Berlusconi e quello ecclesiale di Camillo Ruini.

È stato proprio il cardinale 91enne ad aver benedetto la vittoria netta di Meloni pochi giorni fa, tre anni dopo il suo endorsement a Matteo Salvini: «Per me è una persona simpatica e tosta», ha detto al Corriere della Sera.

La resa dei conti

Meloni non si è fatta scappare l’occasione di mettere un piede in Vaticano, come dimostra il recente incontro che la leader di FdI ha avuto con il cardinale Robert Sarah, tra i porporati tradizionalisti più critici verso papa Francesco.

Per questo l’esito delle elezioni politiche del 25 settembre in Vaticano è percepito come un redde rationem per l’universo bergogliano, la rivincita di chi si è sentito silenziato per anni.

Nel mondo intorno a San Pietro, il crollo del Partito democratico paga lo scotto della convivenza di tante anime che hanno snaturato la vocazione dei «cattolici adulti» reduci della Margherita: «I più delusi dalla sconfitta del Pd sono Azione Cattolica e Sant’Egidio», confessa un prelato di lungo corso.

Alla vigilia del voto, per esempio, l’Azione cattolica ambrosiana era stata molto chiara, invitando i cittadini a prestare attenzione al «richiamo alla Costituzione e alla dimensione europea, compresi gli impegni assunti con il Pnrr, il solido ancoraggio alla democrazia parlamentare e la ricerca della pace». Non c’è da stupirsi, quindi, se oggi serpeggi un po’ di malumore.

Lontana dalla massoneria

I cattolici democratici godono ancora di un certo credito. Ma sono rari: l’emergenza sociale post pandemia, unita alla percezione di una sinistra sempre più élitaria e lontana dai problemi della gente comune, hanno aumentato lo scetticismo su vari livelli.

Lo si percepisce anche fra le mura vaticane. I richiami al comunitarismo di Mounier e al personalismo di Maritain, evocati dal politologo gesuita Francesco Occhetta, non hanno più presa in una gerarchia che guarda al centrosinistra con diffidenza.

Lo ricordava il cardinale Ruini: «Ora il distacco tra élite e popolo si è fatto più evidente». Per questo, fra le stanze vaticane si avverte un discreto consenso per Meloni: «Con lei vince un cattolicesimo diverso, vicino alle parrocchie, che non ha nessun legame con la massoneria», confessa un prelato.

Un termometro di questo nuovo consenso era già evidente lo scorso agosto quando, al meeting di Rimini organizzato da Comunione e Liberazione, Meloni era stata l’ospite di punta nell’incontro all’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, applaudita persino più dell’ex ministro Maurizio Lupi, ciellino di lungo corso: «Meloni non è éelitaria, esprime quel cristianesimo popolare che resta saldo sulle battaglie pro vita, come il contrasto all’aborto e la difesa della vita», dicono in Vaticano.

Battaglie che non sono viste come l’idolo identitario usato Salvini, ma l’espressione più schietta di un impegno popolare.

Dai salotti alla parrocchia

Questo spiega anche la vittoria di Lavinia Mennuni, che ha battuto Emma Bonino e Carlo Calenda, conquistando il collegio uninominale al Senato di Roma Centro: una vittoria sonora per Fratelli d’Italia su un centrosinistra finora inossidabile.

Per molti Mennuni, che nella giunta Alemanno ha ricoperto il ruolo di consigliera delegata ai rapporti con il mondo cattolico, è l’espressione di un centrodestra che preferisce le sale parrocchiali ai salotti.

Presidentessa del Movimento nazionale mamme d’Italia, Mennuni è nota per il suo netto sostegno alla famiglia tradizionale e il rifiuto delle adozioni per le coppie omosessuali: «Quando parlo di famiglie parlo di quelle famiglie naturali costituite da una padre e da una madre» (Assemblea capitolina, 18 novembre 2014).

Posizioni diametralmente opposte a quelle della radicale Emma Bonino, da lei sconfitta all’uninominale. È significativo che a una candidata non cattolica, eppure più volte elogiata da papa Francesco, sia stata preferita una sostenitrice delle battaglie pro vita.

Un duro colpo per i progressisti vicini a Bergoglio e un’esultanza per quell’associazionismo cattolico che il papa latinoamericano ha piallato in questi anni.

Fisichella, Becciu e gli altri

Alla vigilia della nuova squadra di governo, in Vaticano si pensa a chi possa interloquire con il centrodestra meloniano.

Se si escludono i più tradizionalisti, molti guardano a Rino Fisichella, sia per la lunga esperienza di frequentazione politica che per le inevitabili necessità che ora si presentano in vista del prossimo Giubileo.

È anziano ma papabile anche Liberio Andreatta, dominus dell’Opera romana pellegrinaggi. Se non fosse stato scalzato dall’inner circle di Bergoglio, anche il cardinale Angelo Becciu sarebbe stato un solido interlocutore della destra nei sacri palazzi.

Più equidistante politicamente, invece, un garantista come il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, percepito come l’interlocutore ideale, forte del largo credito che gode in Veneto, regione da sempre a destra.

Ma in questo cantiere ecclesiale fatto di mediazioni con l’esecutivo che accompagnerà la chiesa di Francesco al Giubileo, un’alternativa al centrodestra sarebbe stata possibile? Se lo sono domandati diversi prelati in Vaticano, che guardavano ad Azione, prima che le giravolte di Carlo Calenda ne minassero la fiducia.

La sintesi oggi la fa un vescovo: «Avremmo mai potuto votare uno che ha chiuso la campagna elettorale sul Gianicolo, dove si difendeva la Repubblica romana e si evitava il rientro del beato Pio IX a Roma coi cannoni?».

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