Un cortocircuito bestiale, quello di ieri. A Roma la commissione Antimafia va in tilt e tiene fino a sera secretata la lista dei cosiddetti “impresentabili” secondo il codice di autoregolamentazione.

Mentre i cronisti aspettano il responso del presidente ex M5s Nicola Morra arriva la notizia del secondo clamoroso arresto di un candidato a Palermo. Si tratta di Fratelli d’Italia, Francesco Lombardo, accusato di scambio elettorale politico-mafioso con Vincenzo Vella, boss di Brancaccio, già condannato tre volte per associazione mafiosa, anche lui finito in custodia. Tre giorni fa per lo stesso reato erano stati arrestati un candidato di Forza Italia e un costruttore.

Il Pd siciliano chiede al candidato delle destre Roberto Lagalla di ritirarsi. Lagalla parla di «singole mele marce» e promette di chiedere «ai partiti le dimissioni di quanti, eventualmente eletti, risultino avere legami con Cosa nostra. Se ciò non avverrà sarò io a rassegnare le dimissioni da primo cittadino di Palermo». Il cortocircuito mediatico e giudiziario è totale. Il forzista Antonio Tajani e lo stesso Lagalla accusano il Pd di avere in lista il figlio di un boss.

Si tratta di Nicola Piraino, che però spiega di «non avere rapporti con il padre». Si tratta di un giovane militare che, secondo il Pd, ha significativamente rotto i rapporti con la famiglia di origine. Il senatore Franco Mirabellim, capogruppo Pd in commissione Antimafia, si rivolge direttamente agli avversari di Roma: «Tajani e Lagalla dovrebbero vergognarsi delle accuse che hanno rivolto al Pd. Chiedano scusa e dicano finalmente parole chiare contro le mafie, anziché tentare di infangare gli avversari politici».

I fatti di Palermo però si incrociano con il lavoro della commissione riunita a san Macuto, anche se è lo stesso Morra a segnalare che entrambi gli arrestati «sarebbero stato presentabilissimi in base alle norme e ai regolamenti attuali». È una chiara ammissione dei limiti dello screening che lui stesso per tutto il pomeriggio presiede. Come quando dice che «è l’elettore che deve prestare la dovuta attenzione a certi segnali». Il fatto è che gli elenchi non sono arrivati, tranne in tre casi da parte dei Cinque stelle, perché, anche al netto della buona volontà delle forze politiche, contro cui comunque Morra si scaglia, le liste sono state chiuse un mese fa, e poi sono andate al vaglio delle commissioni elettorali.

Le lungaggini

In questo clima pasticciato, la bicamerale era stata convocata la mattina di giovedì, poi nel pomeriggio di ieri viene più volte fissato un termine, che puntualmente salta. «Non funziona nulla», lamentano i commissari. Il lavoro di verifica è proibitivo. Ed è una corsa contro il tempo, per non incappare nel silenzio elettorale. E, dunque, anche per non “bucare” i media che restano tutto il pomeriggio in attesa del boccone grosso.

Alla fine l’elenco arriva. I 62 nomi – su quasi 20mila – di cui si era parlato in mattinata scendono a 18. E solo un paio sono bloccati dalla legge Severino, tutti gli altri finiscono nelle maglie più strette del codice antimafia che condanna – ma solo a livello “etico”, senza conseguenze concrete che non siano l’impatto pesantissimo sulla pubblica opinione – anche i rinviati a giudizio per reati giudicati gravi dalla commissione, ma quindi ancora innocenti.

Gli impresentabili

Sono Luigi Maiorano, candidato per una civica ad Acri (Cs), rinviato a giudizio per concussione; Antonio Comitangelo di Forza Italia, candidato a Barletta, rinviato per abuso d’ufficio; Carmelina Carrozzino, candidata a Belvedere Marittimo (Cs), anche lei rinviata a giudizio; Ernesto Garofano, in corsa a Ciampino in sostegno al candidato Pd; lui ha ricevuto una sentenza quindi è «incandidabile» già per la legge Severino; Patrizia Giannoccoli, in corsa a Frosinone in appoggio del candidato di centrodestra, anche lei rinviata a giudizio; sempre a Frosinone, Giuseppe Patrizi, in appoggio al candidato di centrosinistra, ha un processo per abuso d’ufficio in corso di dibattimento.

E sempre a Frosinone, Mauro Vicano, anche lui rinviato; a Gorizia Silvana Romano, forzista, rinviata per tentata concussione; in corsa a Mondragone è invece Patrizia Barbato, in appoggio a una lista civica, rinviata per corruzione; e sempre a Mondragone il forzista Antonio Valenza, rinviato a giudizio per riciclaggio; a Palermo il candidato Francesco La Mantia, schierato con una lista centrista in sostegno di Patrizio Lodato, ancora in violazione del codice antimafia; a Palermo anche Salvatore Lentini, in sostegno di Roberto Lagalla, sempre per rinvio a giudizio per tentata corruzione; e Giuseppe Lupo del Pd – forse il nome più clamoroso – che sostiene il candidato di centrosinistra Francesco Miceli, rinviato per corruzione; ancora a Palermo il candidato di Fdi Giuseppe Milazzo, rinviato per concussione; a Verona Luca Bagliani, accanto al FdI Federico Sboarina, rinviato per istigazione alla concussione; a Piacenza Olga Marsico, di Forza Italia, lei nelle maglie della legge Severino; ad Ardea (Roma) Brunella Pinciaroli, accanto al sindaco Maurizio Cremonini, condannata in primo grado per estorsione; Francesco D’Andria, candidato a Taranto per il sindaco Abbate, anche lui viola il codice antimafia per essere rinviato a giudizio.

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