I letti di terapia intensiva non ci sono. Anche se i soldi, per una volta, non sono il problema. I posti letto di cui parliamo sono quelli promessi dal decreto Rilancio, che a maggio già prevedeva fondi per il potenziamento dei reparti più in sofferenza durante la prima fase di pandemia, in primavera. Secondo un documento interno, diretto alle regioni, i posti in più previsti sono 5.612 in terapia intensiva e 4.225 in terapia subintensiva. Il decreto è stato firmato in primavera, ma i lavori per ampliare le strutture sanitarie non sono ancora nemmeno iniziati. Eppure, fino a un certo punto è andato tutto secondo il programma.

In base alle decisioni del governo, infatti, la prima mossa toccava alle regioni. Ed effettivamente, già a luglio i desiderata regionali erano stati consegnati in piani dettagliati, in attesa del via libera del ministero della Salute. La data della bollinatura preventiva da parte della Corte dei conti, secondo il documento, risale addirittura al 28 luglio. Da quel momento in poi, la palla passa in mano al ministero guidato da Roberto Speranza e al Commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri. Ma per oltre un mese non succede nulla, tanto che, per arrivare alla pubblicazione del bando di Arcuri, bisogna aspettare inizio ottobre. Una gara lampo, di tre giorni, che inizia il 9 e si chiude il 12 ottobre. Ora, secondo quanto ha annunciato il commissario, dopo una decina di giorni per le aggiudicazioni, i lavori dovrebbero partire a fine mese. Quanto possano poi durare è tutto da vedere, forse più della seconda ondata di contagi.

Ritardi nella valutazione

I primi piani regionali erano stati consegnati già a giugno, come nel caso del Piemonte che aveva presentato la sua richiesta di quasi trecento posti letto aggiuntivi già il 16 del mese. Il via libera dal ministero ai singoli piani però ha richiesto tempi lunghissimi, se confrontati con l’urgenza dell’intervento richiesto: l’Abruzzo, per esempio, lo ha ricevuto soltanto il 10 settembre, pur avendo presentato la lista di richieste già a inizio luglio.

Secondo la norma, finché i documenti non sono stati tutti approvati, il commissario, individuato dalla legge come soggetto attuatore dei piani, non può agire. Insomma, il problema fino a inizio ottobre non si sblocca. Mentre i contagi aumentano e le terapie intensive iniziano a riempirsi di nuovo, Arcuri organizza la gara lampo che non era necessaria, visto che può derogare a ogni regola e optare per l’affidamento diretto: solo adesso che la procedura è conclusa, le regioni potranno iniziare a lavorare facendo riferimento alle aziende selezionate dalla struttura commissariale o a quelle scelte da loro stesse. Certo, nel frattempo le regioni hanno già iniziato a prendere iniziative per conto proprio, partendo dal denaro già a disposizione o anticipando quello che ancora non era nei fatti arrivato. Per il momento, però, ancora non si sa quando arriveranno gli stanziamenti che dovrebbero finanziare i lavori negli ospedali: in molte situazioni, come nel Lazio, intanto si sono realizzati i cento posti letto che era già possibile organizzare. Per concludere però i lavori e ultimare gli altri 182 previsti dal piano di Arcuri servono interventi più strutturali e si stanno attendendo le coperture finanziarie. Resta il fatto che iniziare i lavori ora che la pandemia sta tornando significherebbe chiudere interi reparti oppure spostare i pazienti ricoverati in stanze recuperate in extremis oppure spazi adattati per far fronte all’ondata di contagiati. Un’operazione per niente facile e forse impossibile.

Si parte solo ora

In contemporanea alla pubblicazione del bando è avvenuta anche l’assegnazione delle deleghe e Arcuri ha nominato commissari attuatori undici presidenti: Abruzzo, Campania, Friuli, Puglia, Sicilia e Valle d’Aosta e Emilia-Romagna, Liguria, Bolzano, Trento e il Veneto. Queste regioni potranno scegliere di affidare i cantieri alle aziende che ritengono più adatte, che magari già hanno iniziato a intervenire, oppure a quelle vincitrici della gara centrale. Le altre, che non hanno chiesto la delega, invece, cioè Basilicata, Calabria, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Umbria, Sardegna e Toscana, saranno “guidate” direttamente dalla struttura commissariale e dovranno far riferimento agli esiti del bando organizzato dal Commissario: a coordinare i lavori saranno poi i direttori delle strutture che gestiranno i lavori, le Asl o gli ospedali stessi.

I lavori partiranno adesso, mentre la situazione di contagi e reparti peggiora di giorno in giorno. Gli 1,1 miliardi per finanziare 170 interventi in 21 tra regioni e province autonome, invece di trasformarsi in nuovi letti e terapie intensive, almeno per il momento resteranno fermi. Stesso discorso per i pronto soccorso, per cui erano stanziati altri 250 milioni di euro. Inoltre, se anche ci fossero attrezzature e nuovi reparti di terapia intensiva, resterebbe un problema di personale: per gestire certi strumenti ci vuole una specializzazione particolare e, attualmente, si rileva una strutturale mancanza di personale sanitario, ma che non è stato ancora affrontato con agevolazioni per chi vuole intraprendere questa strada.

 

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