L’arresto del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro segna un punto di svolta anche politico per il governo di centrodestra e in particolare per Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni.

Nessuna conferenza stampa, sarebbe stato inusuale prima di quella degli inquirenti che hanno compiuto l’arresto. La premier, arrivata a Palermo in tutta fretta per complimentarsi con chi ha reso possibile la cattura, si è raccolta per un minuto, in silenzio, davanti alla stele di Capaci che ricorda la strage in cui hanno perso la vita il giudice istruttore Giovanni Falcone, la moglie e magistrata Francesca Morvillo e la scorta. A differenza della Lega, ancorata nelle sue radici al nord, e Forza Italia, con le ombre dei processi per mafia che hanno visto imputati membri di punta del partito, Fratelli d’Italia è l’unica forza del centrodestra ad aver sempre rivendicato nel suo pantheon fondativo uno dei simboli dell’antimafia: Paolo Borsellino.

Del giudice vengono sempre ricordate le simpatie, negli anni universitari, per il Fuan, la formazione giovanile del Movimento sociale italiano. E sebbene la famiglia ne abbia smentito la militanza politica a destra, l’etichetta lo ha fatto diventare una delle figure riferimento del partito.

Il mito di Borsellino

La stessa Meloni, sia nella sua autobiografia Io sono Giorgia sia nel suo discorso di insediamento da premier, ha ricordato di aver iniziato la sua militanza politica proprio dopo la strage di via d’Amelio in cui sono morti Borsellino e la sua scorta e di aver considerato quasi un segno del destino che, nel giorno della fiducia alla Camera, a Montecitorio fosse in corso una mostra sul giudice ammazzato dalla mafia. «È un cerchio che si chiude. Ora salgo questa scala e ci sono le immagini di Paolo Borsellino», aveva detto uscendo da Montecitorio, guardando le foto dell’esposizione. La cattura di Messina Denaro, seppur frutto di attività investigative lunghe e ben poco legate al governo Meloni in carica da appena tre mesi, è inevitabilmente un punto in favore dell’immagine dell’esecutivo e, in particolare, della premier. «Il governo assicura che la lotta alla criminalità mafiosa proseguirà senza tregua, come dimostra il fatto che il primo provvedimento di questo esecutivo – la difesa del carcere ostativo – ha riguardato proprio questa materia», sono state le parole di Meloni, che ha rivendicato, in un’intervista rilasciata a Quarta repubblica su Rete4, proprio la «difesa del carcere duro», parlando di «rischio scongiurato» per «mettere in sicurezza questo strumento fondamentale nella lotta alla mafia». «Messina Denaro andrà al carcere duro, perchè esiste ancora grazie a questo governo», ha concluso.

La sua rivendicazione totale della vittoria è stata totale: «Oggi c’è un governo di centrodestra e questo latitante è stato preso», ha detto Meloni, che ha raccontato di come, «fermandomi a Capaci, ho pensato che il testimone è stato raccolto da qualcuno che la battaglia l'ha portata avanti». Immancabile, il riferimento al suo vissuto, «ho iniziato la mia avventura con quelle macerie e ora guido un governo in un’Italia nella quale viene arrestato il principale latitante», è stato il ragionamento della premier, che ha anche annunciato la celebrazione di una giornata per le vittorie sulla mafia.

Salvini sparito

Comunicativamente, il minuto di silenzio della premier davanti alla stele per Falcone, mostra la differenza rispetto al leader leghista, Matteo Salvini. Sembrano lontanissimi i giorni in cui, durante il governo Conte I, l’allora ministro dell’Interno si era presentato, indossando la giacca della polizia, all’aereoporto di Ciampino per accogliere l’ex terrorista latitante, Cesare Battisti, estradato dalla Bolivia. Per l’occasione aveva addirittura fatto una diretta su Facebook. Senza contare il video-spot realizzato insieme al Guardasigilli, Alfonso Bonafede.

Ora, bloccato a Milano per la cabina di regia delle Olimpiadi invernali del 2026, il vicepremier ha potuto solo bruciare sul tempo Meloni con il comunicato stampa su Messina Denaro, arrivato nove minuti prima di quello di palazzo Chigi. La premier, invece, si è presa tutto il resto della scena, incontrando a Palermo il procuratore distrettuale, Maurizio de Lucia, i magistrati che hanno coordinato le indagini e i carabinieri del Ros che hanno eseguito l’arresto. Con un’etichetta diversa dalle incursioni in divisa di Salvini, Meloni ha rivendicato per la storia politica del suo partito la medaglia nella lotta alla mafia e trovato un insperato successo su cui concentrare l’attenzione pubblica, proprio nella fase di maggior difficoltà del suo governo.

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