L’arresto del capitano di fregata Walter Biot, accusato di aver venduto documenti militari segreti ai russi, è una vicenda che va analizzata da diverse prospettive. Innanzitutto quella dell’effettiva pervasività dei servizi ex sovietici nel nostro paese, da tempo considerato permeabile alle scorribande di agenti non occidentali. E quella dell’impatto mediatico che si è voluto dare allo scandalo, attraverso cui il governo italiano offre un segnale sia ai rivali geopolitici sia agli alleati storici, dopo un periodo in cui la collocazione internazionale di Roma è stata spesso messa in discussione.

Comfort zone

Partiamo dalla vicenda che coinvolge Biot. Dopo la pubblicazione dei primi dettagli dell’inchiesta, il fatto conferma la sua gravità. Il giudice per le indagini preliminari ha deciso – su richiesta delle procura capitolina – di confermare gli arresti in carcere del militare di istanza al terzo reparto dello stato maggiore della Difesa. Biot avrebbe infatti consegnato ai russi una scheda sd con ben 181 fotografie di documenti e materiale classificato. Alcuni report hanno apposto il timbro “riservatissimo”, altri 47 file riguardano informazioni confidenziali della Nato definite “segrete”.

Un fiume di notizie sensibili che l’ex collaboratore avrebbe consegnato ai russi in cambio di 5mila euro, una somma modesta che forse serviva – come ha detto la moglie dell’ufficiale a Domani e confermato il marinaio attraverso il suo avvocato Roberto De Vita – ad alleviare le difficoltà economiche di una famiglia numerosa.

Il gip, però, è stato severo, segnalando come l’attività di spionaggio del capitano probabilmente andasse avanti da tempo, e che il numero di computer e cellulari posseduti (ben quattro, probabilmente consegnati proprio dai russi) evidenzia comportamenti criminali affatto «isolati e sporadici». Altro dettaglio significativo è l’assenza di contatti telefonici o su WhatsApp tra l’italiano e gli uomini di Vladimir Putin. L’ipotesi è che l’appuntamento a Spinaceto (in un parcheggio della periferia romana sulla strada che il militare faceva tutti i giorni per tornare dagli uffici della Difesa alla sua casa di campagna a Campo Jemini, frazione di Pomezia) fossero preordinati.

Non solo: gli investigatori dell’Aisi che hanno condotto le indagini (prima di coinvolgere i carabinieri del Ros e i magistrati) sono sicuri che Biot fosse stato agganciato da Dmitrij Ostroukhov molto tempo fa. Non è noto se ci siano stati altri scambi in passato, ma di certo il militare italiano era stato convinto dagli agenti del Gru, il servizio segreto militare russo, che il tradimento si sarebbe consumato senza eccessivi rischi. «Per convincere un militare esperto come Biot a farsi passare centinaia di documenti rilevanti serve un processo di avvicinamento molto lungo» spiega una qualificata fonte della nostra intelligence. «È pur vero che da qualche tempo le nuove leve del Gru, a differenza degli agenti dell’Fsb (ex Kgb) che restano cauti e accorti, vanno oggi meno per il sottile rispetto al passato, ma è certo che la genesi dell’operazione parta da lontano. Anche solo individuare le prede più permeabili e fragili è un lavoro certosino che necessita mesi di analisi».

Fine delle ambiguità

Ma la vicenda va oltre l’episodio in sé. Azioni di controspionaggio avvengono infatti con una frequenza maggiore rispetto a quanto viene riferito alla stampa e alla pubblica opinione. I nostri servizi di sicurezza lavorano h24, le attività di intelligence effettuate sul territorio nazionale non si contano, ma Aisi e Aise quasi mai pubblicizzano episodi incresciosi che coinvolgono connazionali e/o stranieri. Spesso perché si riesce a risolvere il problema in una fase iniziale, “non cruenta”, quando il target non è stato ancora assoldato e si fa intendere alla controparte di lasciar perdere, e di venire a più miti consigli. Altre volte perché gli scandali vengono silenziati evitando misure drastiche, per preservare i rapporti diplomatici e assetti istituzionali delicati.

Stavolta, invece, alla vicenda della spia di Pomezia è stato dato enorme risalto. Per la gravità degli accadimenti, ovvio. Ma anche perché attraverso l’arresto di Biot e la cacciata dei due russi il governo italiano ha voluto dare un messaggio chiaro, definitivo, sulla scelta di campo del paese. Mario Draghi, i nostri servizi interni guidati da Mario Parente, il capo dell’autorità delegata Franco Gabrielli che del premier è consigliere privilegiato, sono tutti convinti atlantisti: la vicenda Biot è utile a dimostrare che dalle parole si è deciso di passare all’azione.

L’impatto mediatico è dunque figlio di circostanze politiche nuove, dal momento che l’esecutivo riafferma senza se e senza ma il suo orientamento europeista e filo americano. Dopo un lungo periodo, quello del governo gialloverde e della presidenza di Giuseppe Conte, in cui l’Italia è stata vista a torto o a ragione come una nazione dalle convinzioni incerte, altalenanti, in cui alcune storiche propensioni sono state improvvisamente messe in discussione.

La scelta di firmare un accordo con i cinesi per una moderna Via della Seta fortemente osteggiata dagli Usa, il coinvolgimento di alcuni uomini dell’entourage di Matteo Salvini nell’affare del gas russo (poi saltato), l’arrivo a Bergamo dell’esercito di Mosca, le sparate (anche recentissime) di Beppe Grillo e Alessandro Di Battista che strizzano da sempre l’occhio alle democrature, hanno provocato negli ultimi anni più di un disagio nelle cancellerie europee. Per non dire dell’affaire “Barr” e delle visite segrete a Roma (alla presenza di Conte e dei suoi referenti del Dis) dell’ex ministro della Giustizia vicinissimo a Donald Trump, che ha portato sconcerto a Washington e a Langley, il quartier generale della Cia.

Arrestando la spia che vendeva i segreti agli agenti del Gru, convocando l’ambasciatore di Putin – le parole del ministro degli Esteri Luigi Di Maio sono state durissime – ed espellendo in poche ore i due addetti militari, il governo Draghi e l’apparato hanno voluto evidenziare che l’Italia ha raddrizzato il timone, e che ogni recente esitazione è superata. Una scelta di campo agevolata anche dalla vittoria di Joe Biden e della nuova amministrazione americana democratica, che ha cominciato il suo mandato definendo Putin «un killer» e polemizzando con Pechino con toni assai poco diplomatici. Palazzo Chigi voleva dare un segnale indiscutibile, e appena ha potuto (con la vicenda Biot) ha chiarito agli ex sovietici che scorribande non saranno più tollerate, e agli storici alleati che possono fare di nuovo totale affidamento sul nostro paese.

 

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