E’ in corso un doppio riposizionamento in materia di giustizia. Il primo passo è stato fatto dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, con le scuse per la gogna mediatica di cui è stato parte nei confronti dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti. Ha seguito il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, che ha avuto parole di apprezzamento per le dichiarazioni di Di Maio, per poi cesellare una dichiarazione che è stata una mano tesa ai grillini: «Basta guerra dei trent'anni tra giustizialisti e impunitisti (coloro che elevano impunità a bandiera e la confondono col garantismo)». Infine, Di Maio sulla Stampa ha spinto ancora oltre i suo spostamento verso un campo moderato: «Crediamo nella riforma fiscale e in quella della giustizia. Tutti temi che non possono essere affrontati in modo ideologico». Esattamente le due stesse riforme che anche Letta cita sempre come il faro che deve guidare l’attività di questo governo.

L’asse per certi versi è inedita: il cambiamento maggiore è quello di Di Maio, che colloca soprattutto se stesso su posizioni impensabili per il Movimento di qualche anno fa che al grido di “onestà” si faceva fotografare con le arance in mano ad ogni avviso di garanzia per un politico di schieramento opposto. Anche Letta, tuttavia, ha scelto di non sterzare troppo per approfittare dell’apertura di Di Maio: le sue dichiarazioni non hanno mai stigmatizzato i comportamenti dei grillini, è stato più che cauto in tema di prescrizione e ha auspicato un superamento dello scontro sulla giustizia. Inoltre per farlo ha scelto un termine – “impunitisti” – accettando il rischio di far storcere il naso a una parte del suo partito ma anche a mondi culturali collegati.

Tutto per consolidare una sinergia che, almeno a parole, è sempre più solida tra i due leader.

Il rischio, però, è che questo collegamento sia più forte nelle dichiarazioni che poi nella vita parlamentare, dove la ministra della Giustizia Marta Cartabia sta faticosamente portando avanti le tre maxi riforme del civile, penale e ordinamento giudiziario.

I due schieramenti

Tra i gruppi grillini, soprattutto parte della commissione Giustizia, la sensazione è che le aperture di Di Maio non vadano lette in diretto collegamento con l’attività d’aula, dove la linea non è cambiata. Per i parlamentari le parole del ministro non andrebbero declinate in chiave parlamentare ma fanno parte di un percorso individuale di chi le ha pronunciate. Soprattutto le ultime sull’approccio «non ideologico» alla giustizia, che lascerebbero pensare per esempio ad un ammorbidimento delle posizioni in materia penale e in particolare sulla modifica alla legge Bonafede sulla prescrizione. Sulla legge, considerata proprio baluardo ideologico dei Cinque stelle, invece, la chiusura rispetto all’ipotesi di modifica non sta cambiando. Anzi, il Movimento ha fatto più passi avanti che indietro, presentando un emendamento che elimina anche la mediazione trovata nel precedente governo di dividere la strada tra assolti in primo grado, per cui la prescrizione riprenderebbe a decorrere, e condannati.

Di più, i grillini stanno spingendo perchè si porti avanti prima di tutto la riforma del civile, su cui è molto più facile trovare una sintesi di tutta la maggioranza, poi quella del Csm e di mettere in coda il ddl penale. «E sul penale ci confronteremo con tutti, ma partendo dalle nostre posizioni», è il ragionamento.

Dentro al Pd, invece, si continua a sposare la logica dei piccoli passi. Gli avvicinamenti di Di Maio sono una svolta insperata e giustificano le mosse di Letta, il quale continua a ribadire fiducia nei confronti della ministra e non cede a chi vorrebbe che il partito ragionasse di un appoggio ai referendum targati Lega-partito radicale. L’obiettivo è quello di non spaventare i grillini, di cui i dem percepiscono tutte le difficoltà: il post-Bonafede è stato una fase traumatica da gestire e ha fatto sbandare il gruppo, che è anche confuso dalla dialettica tra Di Maio e il leader in pectore Giuseppe Conte. L’ex premier, infatti, ha dovuto discostarsi – pur con il suo ormai eloquio complicato da sciogliere – dalle posizioni di Di Maio e rivendicare invece una linea più intransigente sulla giustizia e soprattutto sulla prescrizione, che pur poco si attagliano al suo profilo.

Al netto delle dichiarazioni dei leader, le certezze del Pd sono che il Movimento è saldamente seduto al tavolo delle riforme e, anche se sul penale le difficoltà sono maggiori, i suoi parlamentari hanno dimostrato di apprezzare l’impostazione di lavoro della ministra. Impostazione, quella di Cartabia, che è molto vicina a quella del Pd anche nel merito delle riforme. Dunque, l’obiettivo è quello di condurre i grillini a convergere sulla linea Cartabia, ma senza suonare la grancassa di dichiarazioni pubbliche, che rischiederebbero di produrre riflessi di chiusura. Anche perchè i tempi stanno stringendo, se davvero la guardasigilli punta a portare il ddl penale in Aula entro giugno.

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