Il sì del Pd alla linea di Schlein: «Meloni fa cabaret»

«Mi impegno volentieri in un confronto tv con Elly Schlein, trovo sia giusto che la premier si confronti con la leader dell’opposizione». La segretaria Pd cita la premier, era gennaio 2024. Rovescia sull’avversaria l’accusa di fuga dal derby: «Ringrazio Meloni per aver spiegato così bene chi ha cambiato idea ed è scappato dal confronto». Nella domenica degli opposti comizi, Schlein si prende l’ultima parola. Comunque alla fine il confronto c’è stato. A distanza. La segretaria lo ha «testardamente» voluto, incurante della sproporzione dei mezzi: Atreju è stato un grande show. Qui, all’Auditorium Antonianum, si tratta pur sempre di un appuntamento di partito, l’assemblea nazionale. Ma l’occasione c’è: di fatto da qui parte la campagna del Pd per le politiche. Schlein si pensa candidata premier del campo progressista. Quindi «polarizza». Per questo l’assemblea, che aspettava da mesi di essere convocata, è stata convocata proprio in contemporanea con le conclusioni di Meloni ad Atreju. A lei Schlein riserva tutte le frecciate. «Vada in un supermercato e veda, scaffale per scaffale, quanto sono aumentati i prezzi». Nella relazione, la segretaria elenca tutti i punti deboli dell’azione di governo: sanità, scuola, carovita, lavoro, tasse. Parla agli elettori: «State meglio di tre anni fa?». No, va tutto peggio: «Non lo dico io, sono i dati dell’Istat». E nelle conclusioni: «Speriamo che venga in parlamento a confrontarsi sul paese reale e non sul cabaret». Ad Atreju il solito repertorio di Meloni: attacca la sinistra, rivendica la stabilità e si loda per la politica estera L’Auditorium è pieno. In realtà a Roma hanno esteso gli inviti anche ai militanti non delegati. Giovani democratici presenti in forze. Il timore della vigilia era la scarsa partecipazione all’evento. Favorita dall’assenza di colpi di scena: l’accordo fra componenti interne abbassa i decibel del confronto, pur a lungo rimandato. Ma lo scarso dibattito interno resta una delle contestazioni alla segretaria. Lo esplicita con garbo e autorevolezza Silvia Costa, ex europarlamentare, cattolica e politica di lungo corso. All’altra obiezione della minoranza dà voce Pina Picierno, vicepresidente dell’europarlamento europeo: bisogna rispondere a tono all’alleato renitente alla leva Giuseppe Conte. Picierno lo fa, a proposito dell’auspicio di «lasciar fare a Trump» sulla tregua in Ucraina: «Lasciar fare al più forte è il contrario di quello per cui noi combattiamo da una vita, e nel nostro campo non può esserci spazio per trumpismo e putinismo travestito da pacifismo». Schlein invece la prende alla larga. Dice che il Pd sostiene Kiev e resta dalla parte dell’Europa, a cui pure chiede un cambiamento. Ma non nomina Conte. Resta «testardamente unitaria»: è la formula che le ha consentito di costruire l’alleanza alle regionali. E se l’ex premier si concede qualche libertà (ad Atreju ha detto di non essere ancora alleato del Pd), lei no: è convinta che gli elettori premieranno la sua postura unitaria. Da leader dell’alleanza. Bettini (Pd): «Sbagliato attaccare Conte. Primarie? Sì, anche se non cambia la legge» Bonaccini in maggioranza L’altra notizia della giornata è che la minoranza di Stefano Bonaccini formalizza il suo passaggio in maggioranza. Del resto il presidente, avversario sconfitto alle primarie, dall’inizio è stato determinante per l’unità interna. L’annuncio lo dà Schlein: «C’era chi scommetteva sulle divisioni nel nostro campo», dice, invece «è finito il tempo delle divisioni e dei litigi, la maggioranza è oggi più larga. Ma io continuerò a essere la segretaria di tutte e tutti». In realtà negli interventi emerge la spaccatura sulla legge sull’antisemitismo, firmata dal senatore Graziano Delrio ma sconfessata dal suo capogruppo Francesco Boccia. Alla fine Delrio viene convinto a non parlare. E la segretaria promette «rispetto» per tutti. Il Pd e l’insopportabile ambiguità sull’antisemitismo È un segnale anche la tessera di partito del 2026. L’anno che si chiude aveva l’immagine di Enrico Berlinguer. Quello che si apre avrà il volto della partigiana Tina Anselmi, a dieci anni dalla morte. È la ministra della Sanità che nel 1978 ha creato il Sistema sanitario nazionale. Alla segretaria l’aveva proposto proprio Silvia Costa. Conte ad Atreju si riscopre populista. Il duello con Cerno Salta l’ordine del giorno Agita la platea lo spettro di un ordine del giorno che Bonaccini e alcuni fedelissimi di Schlein avevano chiesto. Per fare una conta, e costringere al no i riformisti che restano all’opposizione interna: fra gli altri, Pina Picierno, Piero Fassino, Giorgio Gori, Filippo Sensi, Simona Malpezzi, Sandra Zampa, Graziano Delrio. Giro di riunioni, minacce di psicodrammi. L’idea rientra. Dal palco è Piero Fassino ad annunciare l’astensione della sua area. Finisce con 225 sì e 25 astensioni, il 15 per cento. Gli aventi diritto in realtà sarebbero quasi mille. Ma Schlein porta a casa il suo voto unitario, senza no. L’ascolto del paese Altri annunci: Gianni Cuperlo torna alla guida della Fondazione Demo, al posto di Nicola Zingaretti. E parte la campagna per il no al referendum sulla giustizia. A cui Schlein riserva solo un passaggio: segno dell’intenzione di non «politicizzare» il voto, per evitare di doversi poi intestare una sconfitta. La segretaria accoglie solo una delle richieste del correntone di Montepulciano. Da gennaio, dice, inizia «un percorso programmatico per il paese e nel paese. È tempo di ascoltare il territorio». La formalizzazione dell’alleanza dovrà attendere: «Poi ci riuniremo con le forze con cui saremo alternativa».