Il governo cerca di appellarsi a chi può. Dopo l’appello del premier Giuseppe Conte a Fedez e Chiara Ferragni per le mascherine, adesso arriva quello di Dario Franceschini alla Rai e ai personaggi dello spettacolo per la coesione sociale: «Ho scritto alle televisioni e alla Rai, che fa servizio pubblico, di comprare gli spettacoli, trasmetterli e pagare i diritti», e poi direttamente: «Voi personaggi della cultura, voi mondo dello spettacolo in generale, che avete una grande influenza sul pubblico, perché siete testimonial, vi chiedo di dare un contributo per la coesione sociale. Ne abbiamo un grande bisogno» ha detto Franceschini con un video su Facebook.

Gli attacchi interni

Dopo il varo del terzo Dpcm anti Covid-19 in undici giorni, il primo a riconoscere che qualche errore da parte del governo è stato fatto è stato il ministro dello sport Vincenzo Spadafora. Dopo la chiusura di piscine e palestre ha ammesso in diretta tv che qualcosa non ha funzionato nella gestione della pandemia. Poi le critiche di Walter Veltroni e le petizioni del leader di Italia viva Matteo Renzi per la riapertura dei luoghi della cultura sono suonate come un attacco al governo dell’interno. Poi il viceministro alla salute Pier Paolo Sileri ha detto di non essere completamente d’accordo con le misure. La replica di Franceschini è dura: «Forse non si è capito a che punto siamo».

Alle lettere del mondo della cultura per non bloccare gli spettacoli e alle rimostranze dei lavoratori dello spettacolo per la chiusura di cinema e teatri, il ministro ha ribattuto con i numeri. Prima di mostrare un grafico con la curva del contagio da Covid-19 ha detto: «Mi assumo in prima persona la responsabilità di questa scelta. Ho l’impressione che non si sia percepita la gravità della crisi, non si siano percepiti quali sono i rischi del contagio in questo momento».

La chiusura delle attività, ha proseguito, «non è stata legata a una scelta gerarchica, più importanti i teatri o le palestre, un dibattito stucchevole, ma è derivata dall'esigenza di ridurre la mobilità delle persone». E anche se si è impegnato perché la chiusura «sia la più breve possibile», ha ammesso che «dipenderà ovviamente dall'andamento epidemiologico».

Franceschini si è preso la responsabilità politica della scelta di chiudere: «Si possono fare cose giuste, cose sbagliate, ma ci deve essere una assunzione di responsabilità collettiva e individuale. Mi assumo la responsabilità diretta di questa scelta, adesso serve metterci tutti dalla stessa parte». Ha promesso poi che si adopererà per aiutare i lavoratori dello spettacolo «quelli meno conosciuti».

Sindacati e movimenti

I sindacati però da subito hanno giurato di aver capito l’emergenza: «Non sottovaluto il problema grave, queste chiusure saranno certamente motivate da un problema sanitario» aveva detto già domenica a Domani Manuela Bizi, del Sindacato lavoratori della comunicazione della Cgil. Ma la decisione di chiudere, ha obiettato, «deve tenere conto che le conseguenze si abbatteranno sulle grandi imprese e le piccole, infine sui lavoratori». Senza essere mai state contattate dall’esecutivo, le sigle si preparano a scendere in piazza il 30 ottobre. La manifestazione era già in preparazione, ma adesso con la nuova chiusura, ha un motivo in più: «I lavoratori non hanno avuto le indennità di agosto, si è aperta la domanda solo ieri, e molti non hanno avuto risposta per quelle di marzo, aprile e maggio. Adesso si aggiunge la nuova chiusura».

A inizio ottobre l’associazione Bauli in piazza dei lavoratori tecnici dello spettacolo aveva già organizzato un evento manifestazione per chiedere al più presto di intervenire per tutti i lavoratori che operano dietro le quinte. Per Maurizio Cappellini, del comitato promotore, a conti fatti la situazione resta grave com’era già prima: «A noi degli eventi e dei concerti non cambia molto, l’ulteriore stretta riguarda di più i cinema i teatri, ma noi non eravamo potuti ripartire neanche prima». Il problema per i 570 mila lavoratori coinvolti dunque «resta come prima». Questa settimana, hanno fatto sapere, finalmente verranno ascoltati.

Sui sindacati invece nessuna novità. Anche loro lanciano un appello, come Conte e Franceschini, ma a un altro indirizzo: «È urgente un tavolo governativo che metta insieme lavoratori e parti datoriali» dice Bizi al governo. Perché per loro è già chiarissimo: «La situazione non tornerà normale prima del 2021».

© Riproduzione riservata