Ci vuole fantasia per mettere in ginocchio la mafia e ridicolizzare la cultura mafiosa. C'è bisogno del paradosso per denudarla agli occhi del mondo, che poi tanto paradosso non è se già all'inizio di un film, per esempio, si fa crollare il Ponte sullo Stretto prossimo venturo dando quasi per scontato che lì sopra, con il loro famigerato cemento depotenziato, allungheranno gli artigli i boss delle due sponde

Serve coraggio, e una mente fresca, per percorrere il sentiero scivoloso che divide la realtà dal grottesco, il bene dal male, i buoni dai cattivi.

Dopo avere visto (per la verità, diciamo che sono rimasto incollato per trecento minuti allo schermo) le sei puntate di The Bad Guy su Amazon Prime Video, mi sono definitivamente convinto che al di fuori delle commedie null'altro oggi è così intenso ed efficace per raccontare il crimine nei suoi risvolti più indicibili. Almeno qui da noi, in Italia, dove rarità è osare l'attraversamento di territori proibiti.


 

Le emozioni e la retorica

Regia di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, sceneggiatura di Ludovica Rampoldi e Davide Serino, interpretazione superba di Luigi Lo Cascio e Claudia Pandolfi, la serie scava nelle profondità umane e trasmette emozioni che difficilmente si possono ritrovare in opere di cinema su mafia e mafiosi ormai sempre più sovrabbondanti di enfasi e di retorica.

In queste settimane ho visto su Ray Play anche Il nostro generale, la fiction su Carlo Alberto dalla Chiesa con protagonista Sergio Castellitto e su Rai 3 Ora tocca a noi, la vita e la morte del deputato comunista ucciso in Sicilia nel 1982 firmata da Walter Veltroni. Oneste e fedeli ricostruzioni.

Troppo sbrigativa la parte siciliana dedicata a Dalla Chiesa (forse non hanno ben valutato che è stato ucciso nella Palermo mafiosa e non nella Torino delle Brigate Rosse), a tratti melenso, e con un finale un po' forzato sulla cattura di Totò Riina che non ha tenuto conto dei misteri che l'hanno circondata.

Si sono accontentati delle versioni ufficiali che ancora fanno acqua da tutte le parti.

Molto didascalico il docufilm su Pio La Torre, straordinarie le immagini recuperate nelle teche Rai, trama politicamente corretta e titolo indovinato perché quella frase, «Ora tocca a noi», fu pronunciata da La Torre sul lungotevere di Roma durante una passeggiata con il suo amico Emanuele Macaluso nel giorno di Pasquetta di quarantuno anni fa. Sapeva che era arrivata la sua ora.


L’eroe che non è solo eroe
 


Provo a vedere tutto su mafie e dintorni ma non tutto mi piace. The Bad Guy al contrario mi ha trascinato, anche ad una certa età si può sempre imparare qualcosa. L'ironia che batte l'eccesso, la magniloquenza, le mostrine e i pennacchi. Una narrazione che può sembrare stravagante e che invece non lo è, perché è pura, incontaminata. Più potente di un qualunque film che, per esigenze di copione e di contrappesi, segue solo le tracce più rassicuranti o convenienti.
The Bad Guy ci costringe a riflettere sul doppio, il magistrato eroe che non è solo eroe, la vittima che non è solo vittima, la mafia che non è solo mafia. Nelle sei puntate è un ragionamento spinto all'estremo che non si fa suggestionare da sermoni e condizionare dagli stereotipi. The Bad Guy, con il suo estro ribelle, non ci ricaccia nel passato ma ci trasporta nel futuro.
Non c'è zucchero in questa dark commedy, non ci sono confini da rispettare comunque. E' tutto aperto, mischiato fra il quartiere Brancaccio di Palermo e la Scampia di Napoli, è duro e molle insieme, l'Acquapark che sembra un'invenzione ma c'è davvero da qualche parte in Sicilia, lo chef stellato forse convertito o forse ancora amico di quelli, un piede di qua e un piede di là come fanno molti anche nella vita di ogni giorno.

C'è un distacco che non allontana ma che avvicina alla realtà nella serie sul magistrato Nino Scotellaro-Luigi Lo Cascio, che è a caccia del capomafia Mariano Suro ma che poi lui stesso per avvenimenti incomprensibilmente solo italiani si rivelerà colluso e anche preda.

L'eroe che diventa l'antieroe, lo stravolgimento del testo sacro che tanto piace a un'antimafia immobile, a volte fedelmente tonta per non parlare poi dell'altra più sensibile agli affari.
 

A ritmo di rap



La radice di The Bad Guy non è tanto quella americana dei Soprano con le sedute del boss dall'analista ma piuttosto l'origine si potrebbe rintracciare nel meraviglioso Johnny Stecchino di Roberto Benigni, 1991, con le sue famose piaghe della Sicilia: “Il traffffico, l'Etna e la siccità”. Personaggio che ha dentro di sé tutti gli ingredienti del perfetto mafioso che anche il cosiddetto cinema impegnato spesso non riesce a cogliere sino in fondo: l'ossessione per l'aspetto fisico, il cibo, la gelosia, l'omertà. E' commedia che svela la natura di Palermo e che la descrive magistralmente.

E' commedia anche L'Onore dei Prizzi, 1985, un film della Century Fox diretto da John Huston e candidato a otto premi Oscar, attori Jack Nicholson e Kathleen Turner, dove il mafioso Charlie Partanna viene spinto dal vecchio zio don Corrado a far fuori la moglie: «Charlie, pensa alla famiglia, pensa alla famiglia e ammazza tua moglie.. è polacca». La verità sino in fondo.

E' commedia La mafia uccide solo d'estate, 2013, il film di Pif che attraverso il protagonista Arturo fa rivivere con sguardo umoristico la sanguinosa Palermo fra la fine degli Anni Settanta e le stragi dell'estate 1992. Un capolavoro la scena di Totò Riina con in mano un telecomando che non sa usare per accendere un condizionatore, la caricatura del boss e il riferimento al telecomando di Capaci.
C'è un prima e c'è un dopo nella storia della commedia sulla mafia degli ultimi anni. Il prima è Tano da morire, un musical del 1997 diretto da Roberta Torre. Ispirato a una vicenda realmente accaduta, l'omicidio di Tano Guarrasi macellaio al mercato della Vucciria, il film entra dentro l'universo mafioso sbeffeggiandolo a ritmo di rap.

Il dopo è La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco. Narratori la fotografa Letizia Battaglia e l'impresario di feste di borgata Ciccio Mira, Letizia rattristata dalle manipolazioni intorno alle commemorazioni dei giudici Falcone e Borsellino nel venticinquesimo anniversario dalla loro morte, Ciccio che proprio in onore di Falcone e Borsellino organizza concerti neomelodici nel regno dei boss. Non è mai tutto bianco e non è mai tutto nero come vorrebbero farci credere.

Il primo fu Peppino Impastato



Ma chi è stato il primo a capire che un'arma vincente contro le mafie era il dileggio? Un ragazzo di Cinisi, Peppino Impastato. Uno che quel mondo lo conosceva bene, suo padre Luigi era un mafioso e suo zio Cesare Manzella era stato pure un capo della Cosa Nostra prima di saltare in aria dentro una Giulietta imbottita di tritolo.

Peppino puntava il dito contro i “galantuomini” nei comizi ma faceva più male quando chiamava il suo paese Mafiopoli e Gaetano Badalamenti Tano Seduto.

Li derideva, li descriveva per com'erano con il sorriso sulla bocca, li sputtanava dai microfoni di Radio Aut. La sua trasmissione, Onda Pazza, era la più seguita.

Tutto il paese ascoltava, i padrini di Cinisi messi alla berlina. Così è arrivata la decisione di assassinarlo e portare il suo cadavere, la notte del 9 maggio del 1978, sui binari della linea ferrata Trapani-Palermo con la messinscena per farlo apparire un terrorista.
 


La politica e il sangue
 


La commedia sulla mafia azzarda, si concede libertà che altrove sono negate oppure neanche cercate. Anche perché i tempi sono cambiati.

Oggi abbiamo molta più conoscenza sulle mafie rispetto a un recente passato, ma spesso vengono rappresentate con maggiore superficialità, come se ci fosse timore ad andare sino in fondo perché - si sa - in fondo non troveremmo solo mafia.

Anno dopo anno gli spazi per spiegare davvero cosa fanno le mafie si sono ristretti, se si esclude la stagione immediatamente successiva alle stragi del 1992, la mafia sul piccolo o grande schermo è diventata un “prodotto” ben confezionato che non deve però portare disturbo se non ai soliti spara spara.

Non credo che oggi, 2023, Rai1 possa mandare in prima serata - come fece nel 1984 - la prima Piovra con la regia di Damiano Damiani e con Michele Placido nel ruolo del commissario Corrado Cattani. Delitti e finanza, massoneria segreta, la politica e il sangue.

Finzione? Agli italiani è piaciuta, l'hanno trovata molto vicina alla realtà. Quindici milioni di telespettatori di media a serie, con punte di diciassette. Dopo la Piovra 10, vedremo mai la Piovra 11? Aspettando, ci godiamo le commedie.

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