Come si raggiunge un traguardo? Senza fretta ma senza sosta», insegna Goethe. In Italia e in Vaticano sono in molti a temere che nel caso dell’estradizione di Cecilia Marogna, la donna a cui il cardinale Angelo Becciu ha girato oltre mezzo milione per trattare la liberazione di missionari rapiti, l'impazienza possa giocare brutti scherzi. Preoccupazioni, si direbbe, fondate.

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Ieri il presidente della corte d'appello di Milano ha convalidato l'arresto della presunta esperta di diplomazia, sottolineando la gravità delle accuse (invece di usare 600mila euro avuti dalla segreteria di Stato per fini istituzionali, Marogna li avrebbe spesi, in parte, per comprare oggetti di lusso e beni personali). Il giudice è andato oltre, affermando che «non si ravvisano ragioni ostative all'estradizione».

Ma non è affatto detto che la Marogna entrerà presto nelle prigioni del tribunale vaticano. Non solo perché è la prima volta nella storia della Repubblica che la Santa Sede chiede che un cittadino italiano venga estradato Oltretevere. Ma è un fatto che non esistono accordi bilaterali su una questione centrale che tocca il diritto internazionale e il giusto processo.

L’accordo Vaticano-Interpol

L'arresto a Milano della Marogna è stato possibile grazie a un protocollo di adesione del Vaticano all'Interpol, che fu firmato nel 2008 dal monsignor Renato Boccardo. Ma sull'estradizione l'unica norma in vigore tra i due stati – spiegano dal ministero della Giustizia – è l'articolo 23 dei patti lateranensi del 1929, firmati da Benito Mussolini e l'allora Segretario di Stato Pietro Gasparri. «Non c'è altro», chiosano dagli uffici del ministro Alfonso Bonafede. Come declina la procedura il vecchio trattato? «A richiesta della Santa Sede, l'Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano», si legge in modo stringato. L'unica consegna obbligatoria prevista è solo quella di «persone che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano e imputate di atti commessi nel territorio italiani che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati». Insomma dalla città santa all'Italia, e non viceversa.

Il caso di Cecilia Marogna è dunque una pagina tutta da scrivere. Se i legali della donna dovessero opporsi al trasferimento sotto il Cupolone, si aprirà una battaglia legale i cui esiti faranno comunque storia, con implicazioni profonde anche tra i rapporti giuridici tra le due sponde del Tevere.

Il nostro codice di procedura penale prevede che senza accordi specifici la corte d'appello possa dare il via libera all'estradizione «se sussistono gravi indizi di colpevolezza». Ma aggiunge pure che i giudici dovranno negarla in caso lo stato straniero «non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali» dell'indagato.

Un potere solo

Il Vaticano ha un codice diverso da quello adottato in Italia con le riforme garantiste del dopoguerra. E il suo ordinamento giuridico è assai lontano da quello proprio di una democrazia liberale, dove vige la separazione dei poteri per assicurare un processo equo e giusto. In Vaticano il potere esecutivo è appannaggio esclusivo del pontefice massimo che nomina anche la magistratura inquirente (i promotori di Giustizia) e quella giudicante: proprio un anno fa Francesco chiamava, come presidente del tribunale, l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.

Il pontefice, quando gli garba, può cacciare o sostituire ogni membro degli organi giurisdizionali della Santa Sede.

L'Italia estradaderà un suo cittadino in un altro stato che non ha alcuna reciprocità nell'ordinamento giudiziario, e dove i diritti della difesa non rispettano gli stessi standard di quelli nazionali?

E la Cassazione – che in caso di opposizione della Marogna avrà parola ultima sull'affaire – spedirà un sospetto con passaporto italiano in uno stato teocratico che, con una legge emanata nel 2008 da papa Benedetto XVI, prevede tuttora che «l’ordinamento giuridico vaticano riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa»?

Il dubbio è legittimo.

Forse la decisione sarà politica. Ma se forse è ininfluente che la Città del Vaticano non accetti la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, è un fatto che l'organo politico supremo interferisca pesantemente sui processi, mettendo in bilico il principio di terzietà.

Due giorni fa è iniziato il dibattimento a un ex seminarista accusato di molestie sessuali: l’inchiesta è iniziata nel 2017, e il processo non sarebbe dovuto neanche cominciare. Non era stata infatti presentata denuncia dalla vittima «entro un anno dai fatti contestati» come previsto dalle normative al tempo vigenti. Invece, grazie a un «rescriptum» firmato da papa Francesco a luglio 2019, la prescrizione è stata annullata ad hoc: l'intervento del sovrano ha «rimosso la causa di improcedibilità».

I giornali tutti hanno applaudito la scelta, forse convinti dalle accuse gravi di cui era imputato il prete e dal coraggio severo del papa. C'è però chi oggi ricorda che in casi simili Bergoglio ha preferito al rigore una maggiore tutela («in dubio pro reo», ha detto in merito al suo amico monsignor Gustavo Óscar Zanchetta, accusato in Argentina di reiterati abusi sessuali).

C’è anche chi crede in una civiltà giuridica in cui l'irretroattività della legge è sacra, e resta assai perplesso dai metodi usati in Vaticano. Dove improvvisi ordini dall'alto possono cambiare le regole del gioco durante la partita, avvantaggiando la squadra che annovera tra i suoi tifosi quello più illustre.

Reazione a catena

Anche i più ferventi bergogliani hanno capito che che in caso di estradizione della Marogna il precedente farà giurisprudenza. Aprendo alla magistratura italiana, in futuro, porte finora inviolabili. «Interrogare una presunta ladra per gli inquirenti sarà pure cruciale, ma poi una qualunque procura di Terni potrebbe chiedere di arrestare ed estradare due o tre cardinali» ragiona un monsignore che vive a Santa Marta. «Gli inquirenti italiani non vedono l'ora di firmare accordi capestro, e il Vaticano perderà per sempre la sua sovranità giurisdizionale»

. Non tutti scambierebbero il loro regno per una Marogna.

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