«Non ho fatto nulla. Morirei per il papa, spero non si sia fatto manipolare». Il cardinale Angelo Becciu, il giorno dopo l'udienza in cui Francesco lo ha accusato di peculato per aver girato denaro della Segretaria di Stato a una cooperativa di suo fratello, contrattacca. Difendendosi punto su punto. Dimesso in un amen da prefetto della Congregazione dei Santi, privato dei diritti cardinalizi che gli impediranno di entrare in conclave e di avvalersi, nel caso, di scudi penali, uno dei più influenti prelati della curia ha deciso ieri mattina di convocare una conferenza stampa, che pure non ha precedenti. Rigettando le accuse arrivategli non solo dalla magistratura vaticana, che ha fatto rogatoria in Italia coinvolgendo la Guardia di Finanza, ma direttamente dal Santo Padre.

Non sarà «una sfida», come ha sottolineato, ma di certo l'ex sostituto del Palazzo Apostolico, uomo che ha gestito Oltretevere potere e segreti per quasi un decennio, non ha imboccato la strada del silenzio. Ha fatto intendere urbi et orbi che non intende fare la fine dell'agnello sacrificale, e che cercherà – pur obbedendo a una punizione che considera ingiusta – di provare la sua estraneità e innocenza.

In un'intervista notturna a chi vi scrive e pubblicata ieri sul sito di Domani, il cardinale ha già ammesso di aver dato denaro ai suoi fratelli, ma di non ravvisare alcun reato di sorta. Ha ribadito di non essersi «arricchito, né io né la mia famiglia». Nel contempo ha ammesso vari fatti addebitati: conferma di aver «raccomandato» alla Cei la cooperativa Spes del fratello Tonino, che di fatto è braccio operativo della Caritas di Ozimo, in modo che fosse finanziata per centinaia di migliaia di euro dei soldi per l'8 per mille, ma parla di «finanziamenti spesi esclusivamente per opere di beneficenza» (la Spes gestisce un forno che produce pane per le mense dei poveri, ndr).

Smentisce, invece, di aver girato 100 mila euro alla cooperativa di famiglia, usando illecitamente fondi della Segreteria di Stato: tra tutte le contestazioni papali questa è, in chiave penale, quella potenzialmente più rilevante. «Non ho dato denaro direttamente a Tonino. Li ho concessi alla Caritas di Ozimo: il vescovo mi ha detto che sono ancora in cassa, e che non sono finora mai stati spesi: dov'è il peculato?».

La punta dell’iceberg

Qualcuno vicino all’inchiesta segnala che i soldi sarebbero comunque dovuti arrivare alla cooperativa di Tonino, e che il passaggio di denaro alla Caritas sarebbe solo un escamotage per evitare che i detective dell’antiriciclaggio della Santa Sede si fossero attivati subito. È un fatto, però, che il vescovo di Ozimo abbia scritto una lettera al cardinale per sottolineare che il bonifico è rimasto intonso.

Becciu si dice tranquillo. Ma sa bene che la vicenda dei business dei fratelli, anticipata da un'inchiesta dell'Espresso a firma di Massimiliano Coccia, evidenzia non solo un solare conflitto di interessi, ma è solo la punta dell'iceberg che lo ha travolto. La storia della Spes, insieme a quella della ditta di falegnameria di un altro fratello (risulta che Becciu e un nunzio apostolico a lui vicino abbiano commissionato a Francesco Becciu negli anni infissi per oltre 200 mila euro, tra finestre e porte delle nunziature di Cuba, dell'Egitto e dell'Angola) e quella dei legami tra il birrificio di un terzo fratello e la Caritas di Roma, sembrano in effetti poca cosa rispetto ad altri scandali in cui sono inciampati altre porpore, senza però perdere la poltrona e l'onore.

Nonostante la ristrutturazione dell'attico di Tarcisio Bertone con i soldi destinati ai bambini malati del Bambin Gesù, Francesco ha deciso nel 2015 di non infierire sull'ex Segretario di Stato. Anche George Pell, insabbiatore di preti pedofili e scovato a spendere cifre record (tra computer, stipendi monstre per amici degli amici, vestiti messi in conto al Vaticano, affitti, biglietti aerei, arredi di lusso e tappezzeria su misura quasi mezzo milione in sei mesi) non ha mai perduto i diritti cardinalizi. Nemmeno quando fu accusato lui stesso di molestie su minori (è stato poi prosciolto da ogni accusa penale). Alcuni documenti dimostrarono nel 2017 che Oscar Maradiaga, amico e consigliere personale del papa, prendeva dall'università cattolica dell'Honduras circa 35 mila euro al mese: Bergoglio, nel 2017, difese il cardinale a spada tratta.

Il caso Becciu è però diverso. Stavolta sono molti i testimoni che stanno collaborando alle indagini. Da un anno la gendarmeria e i promotori di Giustizia Alessandro Diddi e Gian Piero Milano, stanno accelerando – su espressa volontà del pontefice – investigazioni a tappeto su un pezzo della vecchia curia. In particolare, sotto la lente sono finite le attività di prelati e laici che hanno amministrato i denari della Segreteria di Stato. L'inchiesta è partita dalla compravendita da parte di Becciu e del suo team di un palazzo al centro di Londra. Un affare voluto proprio dal sostituto, che avrebbe fatto più ricchi finanzieri oggi indagati per reati assortiti (come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi, entrato nel business quando Becciu era già stato sostituito da Edgard Pena Parra) e contemporaneamente impoverito di quasi mezzo miliardo le casse vaticane.

Tutti gli errori del cardinale

Ora, secondo documenti dell'inchiesta penale consultati da Domani, la Segreteria di Stato possiede fonti extrabilancio per 650 milioni di euro, di cui parte importante è stata investita – attraverso Credit Suisse ed alcune società offshore in Lussemburgo e Svizzera di proprietà dello stesso Mincione o del finanziere Enrico Crasso - in affari di vario tipo in giro per il mondo.

I magistrati, che hanno indagato uomini di Becciu come Mauro Carlino e Alberto Perlasca, e il revisore dei Conti ipotizzano possibili appropriazioni indebite e corruzione, e per mesi hanno ripetuto al papa che il sistema che l'ex sostituto ha governato per un decennio sarebbe marcio fino al midollo.

La vicenda dei fratelli sarebbe dunque solo una goccia nel mare. Se le indagini e i processi eventuali dovranno stabilire l’esistenza o meno di illeciti (il giudice Giuseppe Pignatone, da poco a capo del tribunale, è giurista che nei processi bada solo alle evidenze), Becciu – che non risulta indagato – ha pagato una lunga serie di scelte considerate scellerate: in primis la decisione, nel 2013, di investire in una piattaforma petrolifera al largo delle coste dell'Angola, paese africano in cui il cardinale è stato nunzio dal 2001 al 2009 (un business in cui erano già coinvolti l’Eni, la società statale Sonangol e la Falcon Oil, una società del finanziere africano Antonio Mosquito, amico di Becciu). Poi l'arrivo di Mincione e l'acquisto dell'immobile londinese a Sloane Avenue, infine l'ingresso del raider Torzi e le fees troppo alte pagate per commissioni e profitti finanziari di terzi, su cui i magistrati stanno indagando per capire se qualcuno, dentro le sacre mura, ha preso mazzette o truffato il Vaticano stornando somme dagli interessi. «Non mi sento un corrotto, non ho fatto nulla», ha detto Becciu. Ma per il papa le carte dell'inchiesta, prima ancora di una discovery o di un dibattimento, sono bastate e avanzate. E Francesco non è pontefice che torna facilmente sulle sue decisioni.

© Riproduzione riservata