Per il giudice del lavoro di Lecce il PD locale e la viceministra Teresa Bellanova hanno impiegato con un illegittimo rapporto di lavoro parasubordinato, volgarmente “una falsa partita iva”, il loro addetto stampa, Maurizio Pascali, a cui invece la Corte d’Appello riconosce lo status di lavoratore subordinato. Bellanova ha già pagato la sua parte, ma ha fatto sapere che ricorrerà in Cassazione perché la sentenza per lei è «totalmente infondata».

Il caso

Pascali aveva lavorato per loro per cinque giorni a settimana dal 2010 al 2013, e all’occorrenza pure nel fine settimana. Per tre anni e tre mesi, aveva spiegato nel ricorso, scriveva i comunicati stampa, poi i disegni di legge e le relazioni correlate. Era a disposizione in occasione di assemblee, incontri, convegni organizzati in città e in provincia, il tutto sotto il coordinamento dell’ex deputato Salvatore Capone e di Bellanova, mantenendo anche contatti con la sua segretaria personale, Alessia Fragassi  -oggi nella segreteria della viceministra –  cui spediva il materiale elaborato e comunicati stampa che venivano diramati tramite la mail della parlamentare.

Il giudice ha perciò deciso di condannare il Partito Democratico e Bellanova a un risarcimento per il lavoratore quantificato in poco più di 50mila euro (per la maggior parte il partito, per una parte minore l'attuale viceministro) e a pagare le spese di giudizio, quantificate in altri 18mila euro.

In primo grado aveva avuto la meglio la viceministra. «Mai e dico mai – commentava su Facebook – è intercorso lavoro subordinato né tanto meno forme di collaborazione diversa da quella confermata dal giudice e da me sempre sostenuta». Eppure la nuova sentenza dice che la verità era un’altra. 

Il rapporto lavorativo non era stato regolarizzato, né come subordinato né nelle forme del contratto a progetto; era stato invitato ad accendere la partita Iva e aveva emesso fatture di importo mensile medio di 1.200 euro lordi, comprensivi di ritenuta d'acconto, predisposte dal tesoriere del Pd, Marco Bramato, che pagava «con bonifici a cadenze irregolari». Benché formalmente la prestazione con il Pd fosse cessata nel luglio 2012, si legge, aveva continuato a emettere fatture a questo intestate perché aveva continuato a lavorare per il Coordinamento e per la parlamentare. Una volta cambiati gli equilibri politici nell'ambito della segreteria, il rapporto era terminato definitivamente nel giugno 2013.

La denuncia di Bellanova

Bellanova, candidata di punta di Italia viva, il partito di Matteo Renzi, in Puglia e Sicilia, avrebbe già liquidato la sua parte al suo ex addetto stampa. La deputata è nota per aver iniziato a lavorare a 15 anni nei campi, per poi diventare giovane sindacalista della Federbraccianti nelle province di Bari e Lecce, dove era attiva nella lotta al caporalato. Eletta in Parlamento, nel 2014 è stata nominata sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi, l’epoca del caso. La sentenza adesso potrebbe avere risvolti in un altro processo.

Pascali aveva promosso la vertenza di lavoro contro il Pd e Bellanova, e lei dopo il clamore mediatico aveva deciso di denunciarlo-querelarlo per diffamazione, tentativo di estorsione, truffa e calunnia. La sentenza adesso certifica quello che Pascali recrimina sul fronte lavorativo ed è stata depositata agli atti dal suo avvocato Alessandro Stomeo. Nel processo penale, difesi dall’avvocato Roberto Eustachio Sisto, sono coinvolti anche Danilo Lupo, Mary Tota e Francesca Pizzolante, i giornalisti che avevano seguito il caso: anche loro imputati per diffamazione aggravata.

La replica di Bellanova

«Le sentenze non si commentano, si rispettano», ha detto la viceministra. «È quello che ho sempre pensato ed è esattamente quello che in questo caso ho già fatto». Bellanova ha disposto il pagamento di una somma pari a circa 1.300 euro, già versati. Una parte che è un quinto della somma complessiva per il 2013, le altre quattro spettano al Pd. Bellanova ha ricordato che il primo grado di giudizio le aveva dato ragione. Si è opposta la sentenza della Corte d’Appello, ma «i miei legali ritengono del tutto infondata e che sarà, pertanto, oggetto di impugnazione in Cassazione».

Nella sentenza, specifica la viceministra, il lavoro viene assimilato a un co.co.co, dunque non a un vero lavoro dipendente. Ma è vero solo in parte. Nella parte finale il giudice «dichiara la conversione del rapporto di collaborazione continuata e coordinata non sostenuta da progetto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato» con l'onorevole Bellanova in condivisione col Pd dall'11 gennaio 2013 sino alla cessazione, avvenuta il 3 giugno 2013. Per l’avvocato Fernando Caracuta «è una tecnicalità, è l’effetto di una sanzione prevista dalla legge Biagi, non significa che è stato accertato il lavoro subordinato».

E conclude: «Il fatto che la cifra addebitata a Bellanova sia un quinto rispetto alla somma complessiva per quei mesi dimostra che lei ha utilizzato molto poco la prestazione».

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