Se è vero che la storia tende a ripetersi, nel pomeriggio di sabato 21i maggio, dal palco della convention di Forza Italia a Napoli, Silvio Berlusconi si rimangerà, come nella migliore delle farse, qualcuna delle sprovvedute dichiarazioni rilasciate su Vladimir Putin e la guerra in Ucraina. O forse no. Perché in fondo l’ex premier si sente «la responsabilità di essere ancora in campo come fu nel 1994». E allora va bene così. Meglio straparlare, attirare un po’ di attenzione su di sé e provare a cavalcare, sulla scia di Matteo Salvini e Giuseppe Conte, i sondaggi che dicono che agli italiani questa guerra proprio non piace.

Per la cronaca Berlusconi ha detto che «le sanzioni hanno fatto molto male all’economia sovietica, ma hanno fatto molto male anche a noi». Ha aggiunto che «il grande dubbio è sul gas, è un’ipotesi sconvolgente perché ci porterebbe alla chiusura di centinaia e centinaia di migliaia di aziende, alla perdita di tre milioni di posti di lavoro, quindi a un dilagare della povertà in Italia e dovremmo andare in giro i prossimi inverni con il cappotto addosso in casa e una candela in mano. Non voglio nemmeno pensare che questo possa succedere».

Ma soprattutto che «inviare armi significa essere cobelligeranti, significa essere anche noi in guerra. Cerchiamo di far finire in fretta questa guerra. E, se dovessimo inviare armi, sarebbe meglio non farne tanta pubblicità. L’Europa si deve mettere tutta unita insieme e fare una proposta di pace a Putin e agli ucraini, cercando di far accogliere dagli ucraini quelle che sono le domande di Putin».

Le parole di Draghi

Ma se nella prima parte del discorso ognuno può rivedere le preoccupazioni, anche legittime, su ciò che potrebbe succedere nel nostro paese con un proseguimento del conflitto ucraino, la seconda ha generato inevitabili polemiche. Non fosse altro perché, quasi in contemporanea, il premier Mario Draghi spiegava, da Verona, che nonostante i ripetuti inviti al dialogo rivolti a Vladimir Putin, il presidente russo si è sempre dimostrato indisponibile. «Chi attacca usando la violenza ha sempre torto – ha detto – L’Ucraina da stato piccolino è diventato grande perché è stato aiutato dagli amici, combatte, si difende per un motivo: la libertà».

Insomma non serve una dotta esegesi per capire la distanza, non solo chilometrica, che nella giornata di ieri ha separato il presidente del Consiglio dal leader di Forza Italia. Se da un lato si invoca la resa alle richieste di Mosca, dall’altro si esalta la resistenza di Kiev.

La domanda che ora un po’ tutti si pongono è: che peso può avere il ritorno al putinismo di Berlusconi? Di certo non è una buona notizia per un partito, come FI, che negli ultimi giorni è tornato a dividersi. Nulla di nuovo. È dall’inizio del governo Draghi che l’ala governista e moderata litiga con quella più estrema che vorrebbe unirsi indissolubilmente alla Lega. Il fatto che Berlusconi sia tornato in pubblico mostrandosi palesemente in sintonia con quest’ultima non può che acuire le tensioni e, magari, favorire fughe e scissioni.

Proprio quello di cui non ha bisogno, in questo momento, il premier Draghi che deve già fare i conti con i tormenti del Movimento 5 stelle e con le crisi di coscienza di Salvini che ogni volta che si reca a palazzo Chigi ne esce sorridente e soddisfatto ma poi, appena ne ha l’occasione, torna a dare fastidio. Normali posture da campagna elettorale, si dirà.

Il presidente del Consiglio ha già fatto capire che non è sua intenzione lasciarsi logorare fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023. Un Berlusconi fuori controllo è solo un ulteriore tassello di cui, certamente, non c’era bisogno.

 

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