E così ci siamo giocati anche Romano Prodi. Chissà se per promuovere la nuova autobiografia, per lanciare segnali nella partita del Quirinale o per sincero desiderio di pacificazione, anche il fondatore dell’Ulivo si è unito ai tanti desiderosi di compiacere Silvio Berlusconi.

I giudici del processo Ruby Ter hanno chiesto di verificare lo stato di salute dell’imputato Silvio Berlusconi, che salta le udienze causa acciacchi ma fuori dal tribunale guida un partito, fa l’europarlamentare, scrive editoriali e va in vacanza con la fidanzata 31enne.

Tra le perizie c’è anche quella psichiatrica che – peraltro – casomai dovesse certificare un’incapacità di intendere, andrebbe a beneficio della difesa e non dell’accusa. Ma per Prodi questa richiesta è «una follia all’italiana». Commento non tropo diverso da quello di Matteo Renzi («una sguaiata provocazione»).

Tra una settimana Berlusconi compirà 85 anni, ma deve ancora essere giudicato con le lenti della cronaca, invece che già con quelle della storia. Non soltanto perché ambisce addirittura ad andare al Quirinale, ma perché i temi del suo ventennio continuano a funestare la politica italiana: il conflitto di interessi (l’Antitrust dice che l’ultima riforma delle regole televisive conferma un quadro troppo favorevole a Mediaset), l’interferenza politica nei processi, l’uso personale di un partito prigioniero del suo proprietario, l’ambiguità verso l’Europa (oggi filo-Draghi ed europeista, un attimo prima avversario delle élite, dei mercati e un po’ anche dell’euro).

La scelta di Letta

Enrico Letta ha cercato di restituire un’anima al Pd costringendo il partito a prendere posizione su questioni di principio: i giovani, lo ius soli, i migranti, i diritti Lgbt. Sorvoliamo sui silenzi sulle grandi questioni economiche e sociali, ma se stiamo sul piano dei valori allora è bene chiarire se nel dna del Pd c’è ancora una radicale diversità rispetto a tutto ciò che incarna Silvio Berlusconi.

Ogni settimana l’ex Cavaliere (ex perché condannato in via definitiva), pubblica sul suo Giornale una specie di testamento politico a puntate, nel quale rivendica, tra l’altro, un radicale individualismo che lui chiama liberale ma è soprattutto liberista e predatorio nei confronti della società, condito con ingredienti tipicamente italici quali corporativismo, allergia alle riforme e omaggi assai poco spirituali al mondo cattolico.

Ecco, il Pd rappresenta un’alternativa netta a tutto ciò che Berlusconi ancora incarna o, in nome dell’opposizione a un populismo peraltro assai berlusconiano, ha rivalutato quel modello culturale, cene eleganti e bunga bunga inclusi, e lo considera un pezzo dell’identità condivisa del paese?

L’ironia della storia costringe rispondere proprio Enrico Letta, che non è solo il nipote del braccio destro di Berlusconi, ma anche colui che più si è speso per costruire ponti tra centrodestra e centrosinistra negli anni in cui la contrapposizione era, almeno all’apparenza, frontale e polarizzata intorno alla figura dell’ex Cavaliere.

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