«La riapertura dei ristoranti alla sera proposta da Salvini, laddove non vi siano troppi rischi di contagio, è una richiesta ragionevole». A parlare è il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. A rispondere con tante grazie è il leader leghista: «Fa piacere trovare consenso trasversale su una proposta di assoluto buonsenso, che salvaguardi sia il diritto alla salute che il diritto al lavoro». Il duetto, interpretato nella giornata di ieri, non sorprende i funzionari del ministero della Salute. A Lungotevere Ripa di Roma ricordano bene i videoscontri ai tempi della prima ondata della pandemia. Bonaccini, da presidente della conferenza delle regioni, negli scambi fra gli esponenti del governo di allora veniva ironicamente definito «il più autorevole esponente delle opposizioni». Anche dai compagni di partito. Oggi il ministro Roberto Speranza, rimasto alla guida del ministero, parlerà alla Camera e cercherà di convincere la nuova sterminata maggioranza alla linea della prudenza.

La corrispondenza di amorosi sensi fra Salvini e Bonaccini solleva invece qualche perplessità al Nazareno. Siamo alla vigilia di uno scontro nella nuova maggioranza sulle nuove misure – ieri il presidente della Repubblica ha firmato il decreto legge «ulteriori disposizioni urgenti in materia di spostamenti sul territorio nazionale per il contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19» – e sulle eventuali prossime riaperture. Il Pd si schiererà dalla parte della prudenza. Di certo Zingaretti. Salvini sarà dalla parte opposta, ed è convinto di avere il premier Draghi dalla sua. Ieri lo ha incontrato a palazzo Chigi e all’uscita ha riferito che «sul ritorno alla vita, dove la situazione lo permetta, siamo sulla stessa linea». Da questa parte annuncia di essere anche Bonaccini: «Verrà il tempo in cui la Lega e il Pd torneranno a dividersi. Ma oggi si deve insieme, ognuno con le proprie idee, fare di tutto perché l’Italia possa ripartire il prima possibile».

Primarie e gazebo

Il segretario Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio, è invece dell’idea che il Pd e la Lega restino «alternativi», nonostante stiano nella stessa maggioranza. Il leader dem è il capofila dei “governatori” prudenti. E non può che prendere atto che l’asse fra i due ex arcinemici delle elezioni regionali emiliane è quantomeno inopportuno nei giorni in cui molti scienziati avvertono che marzo sarà un mese delicato per i contagi. Nel pomeriggio il segretario Pd è ospite di Radio Immagina, l’emittente della casa. Non affronta direttamente le riaperture, ma l’approvvigionamento dei vaccini, altro tema su cui Bonaccini si è schierato con le regioni di destra. «Il tema è che non ce ne sono a sufficienza. Non sono d’accordo sul mercato parallelo perché potrebbe diventare mercato nero», meglio «attrezzarsi anche con indennizzi per la case farmaceutiche per produrre in casa i vaccini», dice. Anche lui sta citando Draghi.

«Le proposte di Salvini non sono mai ragionevoli, sono sempre strumentali», gli fa eco Marco Miccoli, responsabile lavoro Pd, «Più che a Salvini, mi affiderei ai tecnici e alla scienza. Prima sconfiggiamo il virus e prima i ristoratori usciranno dalla crisi». E Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera: «Nonostante ci sia chi faccia finta di non sapere, il virus e le sue varianti continuano purtroppo a circolare, come dimostrano gli ultimi dati epidemiologici. Tutti i parametri sono in peggioramento e allentare genericamente senza un fondamento scientifico, sarebbe rischioso e antiproducente».

Nel Pd risulta chiaro anche che dietro le posizioni di Bonaccini, e neanche troppo dietro, c’è una questione tutta interna al partito. Quella del fantasma del congresso. Il presidente dell’Emilia-Romagna è indicato come l’eventuale sfidante di Zingaretti nelle assise che le minoranze chiedono quotidianamente, ma solo nelle interviste sui media e religiosamente fuori dagli organismi di partito. Il segretario era pronto a lanciare una discussione programmatica alla prossima assemblea nazionale (si terrà il 13 e il 14 marzo su piattaforma) ma adesso è stanco e tentato dall’idea di proporre un congresso con primarie e gazebo. Anche per dimostrare il velleitarismo delle minoranze: il governo è sulla strada del rinvio delle amministrative, a partire dalle regionali calabresi (convocate per il prossimo 11 aprile, saranno le prime di cui la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese dovrà occuparsi); quando le forze politiche daranno l’ok, stessa sorte toccherà agli oltre 1.200 comuni al voto in primavera. Dopo il drammatico discorso di Sergio Mattarella sull’impossibilità di andare al voto politico, difficile che la pandemia sterzi improvvisamente, e si creino le condizioni per aprire le urne nelle città.

Il partito più votato

Ma nel Pd qualcosa deve accadere, forse anche uno shock, visto che in queste ore le minoranze dove possono tentano il logoramento del segretario e dei suoi. Ieri è successo in Toscana: con un colpo di mano la segretaria Simona Bonafè, già renzianissima e vicina a Base Riformista (area Guerini-Lotti) ha estromesso il suo vice (zingarettiano). Sarebbe, spiegano, una conseguenza dell’ipotesi di candidare l’ex premier Giuseppe Conte alle suppletive di Siena a nome di una coalizione Pd-M5s.

Lo stesso Zingaretti è sottoposto a un continuo fuoco di fila. Per il suo scarso polso con le correnti – ancora in alto mare la vicenda dei sottosegretari, domani la direzione sul riequilibrio di genere nella delegazione del governo – ma anche per evidenti scemenze: ieri la rete si è divertita a infilzarlo per un lapsus in un’intervista, ha detto «rilancio del Pci» anziché del Pd, un classico che a nessun altro verrebbe imputato come sintomo di irriducibile nostalgia. Zingaretti comunque ha capito l’antifona e annuncia l’apertura del confronto interno. L’idea è di un dibattito, e anche di una conta, che si apra e chiuda nell’assemblea nazionale. Ma non sono escluse novità più eclatanti. «All’assemblea decideremo», dice alla radio, «la forma più vera, trasparente e vera perché questo dibattito si faccia senza astio ma senza ipocrisia. È che è cambiato tutto, è giusto che il Pd apra una discussione sulle cose concrete da fare», quello che conta, rivendica, è che «oggi possiamo discutere a testa alta. Molti lo dimenticano, ma il dibattito nel 2018 era su scioglimento sì o no. Alle ultime elezioni il Pd è stato il partito più votato».

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