Il bonus cultura, vale a dire la somma di 500 euro destinata ai neo-diciottenni per consumi culturali, non sarà cancellato, come era stato proposto in un emendamento alla legge di Bilancio.

Probabilmente, il cambio di rotta è stato determinato dalle polemiche sorte al riguardo, motivate – in sintesi – dalla considerazione che la spesa destinata alla cultura è lodevole per definizione.

Proprio tali polemiche inducono a rilevare, per l’ennesima volta, un vizio delle politiche pubbliche nazionali: la mancanza di indicatori di efficacia, definiti preventivamente, per verificare poi se una certa misura ha davvero conseguito gli obiettivi per i quali era stata elaborata.

Il bonus cultura

Il bonus diciottenni era stato varato dal governo di Matteo Renzi con la legge di bilancio per il 2016. Negli anni successivi la misura è stata rifinanziata e sono stati ampliati i beni acquistabili. Dal 2022 essa è divenuta strutturale, cioè non necessita di essere deliberata ogni anno.

L’erogazione monetaria era stata concepita come reazione agli attentati terroristici del novembre 2015 a Parigi. Renzi aveva annunciato lo stanziamento di «un miliardo in sicurezza e uno nell'identità culturale», promettendo un’elargizione di 500 euro per tutti i neo-maggiorenni, di qualsiasi censo, da «investire in attività culturali». La misura, all’epoca della sua introduzione, era stata connotata da una valenza sia emotiva («asciugate le lacrime, è il tempo di reagire»), sia simbolica («diventare maggiorenne in Italia: protagonista e coerede del più grande patrimonio culturale del mondo»). Ma non ci si preoccupò di stabilirne gli effetti attesi, né di definire i criteri per misurarne i risultati, tra l’altro in termini di aumento nella fruizione culturale dei neo-maggiorenni, anche al fine di aggiustare il tiro della misura stessa o per eliminarla, se inefficace rispetto all’intento perseguito. Tanto meno vi fu una valutazione comparativa rispetto ad altre misure, per accertare se i fondi con cui si era finanziato il bonus avrebbero potuto essere impiegati al medesimo fine – incentivare la cultura nei giovani – ma in modo diverso, idoneo a determinare maggiori benefici, specie a favore dei ragazzi culturalmente più svantaggiati.

In altre parole, l’utilità del bonus fu data per scontata, in considerazione della bontà dello scopo – incentivare i consumi culturali - per cui veniva erogato, giustificando così pure la bontà della spesa che lo finanziava.

Gli effetti del bonus

In mancanza di criteri predefiniti per misurare l’efficacia del sussidio, nel tempo sono state fornite informazioni sul suo utilizzo: dal numero delle registrazioni all'App per accedervi (356mila nel 2017, 389mila del 2021, oltre 441mila del 2022, secondo gli ultimi dati disponibili) ai milioni stanziati per implementarla (dai 178 milioni dell’avvio della misura ai 230 milioni previsti dal governo Draghi con la manovra dello scorso anno). Sono stati anche rilevati i benefici del bonus per le imprese culturali, la filiera del libro in particolare. In una ricerca pubblicata nel 2022, l’Istat ha attestato che la lettura tra i giovani di 18-19 anni registra «una crescita di 7,7 punti percentuali (dal 48,2 per cento al 55,9 per centro)». Del resto, se vengono erogati dei soldi, quei soldi vengono spesi, determinando un qualche impatto nel settore in cui vengono utilizzati. In altri termini, comprare gratis non può che funzionare. Tuttavia, ci si dovrebbe porre una domanda: gli impatti positivi prodotti sono valsi la spesa che li ha determinati? E la medesima spesa avrebbe potuto ottenere effetti più proficui, se utilizzata per un diverso impiego?

Ma siccome né da parte del governo che aveva varato la misura né da parte di quelli successivi che l’hanno confermata è stato fatto alcun esame in concreto su di essa, queste domande restano senza risposta.

Le politiche pubbliche in Italia

La vicenda del bonus cultura rende palese, per l’ennesima volta, uno dei vizi delle politiche pubbliche nazionali: non sono oggetto di valutazione, né preventiva né successiva. E cioè non sono individuati gli obiettivi perseguiti né vengono vagliate le varie opzioni di intervento, comparando i vantaggi e gli svantaggi di ognuna di esse e quantificandone il “prezzo” per cittadini e imprese; non è delineato un attendibile scenario del futuro funzionamento dell’opzione selezionata, soprattutto dei suoi possibili effetti inattesi o indesiderati; non sono costruiti indicatori di carattere quantitativo che consentano di verificarne il grado di raggiungimento. In assenza di tutti questi elementi, non può nemmeno farsi un esame successivo circa il reale funzionamento dell’opzione prescelta.

Il fatto è che in Italia le politiche pubbliche paiono sempre assistite da una sorta di presunzione di efficacia. La trasparenza dei processi decisionali ex ante e di verifica ex post delle politiche stesse - rendendo conoscibile ciò che non ha funzionato o cosa è stato valutato non correttamente nella fase di progettazione - sarebbe doverosa nei confronti dei cittadini, i cui soldi vengono utilizzati per finanziare qualunque azione pubblica. In Italia, invece la nobiltà dell’obiettivo perseguito – specie nell’erogazione di certi sussidi socialmente encomiabili – di fatto basta a giustificare l’impiego di denari dello Stato, cioè dei contribuenti: il beneficio è dato per scontato.

Ciò si traduce nel fatto che in Italia l’efficacia dei provvedimenti degli esecutivi pro tempore viene di norma misurata in termini di fondi distribuiti, non di risultati concretizzati.

L’iniquità del bonus cultura

Cosa significa tutto questo in relazione al bonus per i diciottenni? La spesa pubblica in cultura è sempre apprezzabile. Tuttavia in un contesto di risorse scarse va sempre fatta una valutazione comparativa, per capire se quella spesa avrebbe potuto essere impiegata meglio, allo stesso fine, soprattutto per incentivare chi di cultura avrebbe più bisogno. Perché se è vero che la cultura è un bene universale, incentivare consumi di libri, spettacoli teatrali, concerti ecc. di neomaggiorenni che, per il proprio contesto familiare e culturale, non necessiterebbero di essere incentivati – economicamente e non solo – significa sottrarre quei fondi non solo a usi più proficui, ma anche a persone più svantaggiate.

Erogare il bonus cultura a tutti i diciottenni, pure a quelli benestanti, ha tolto preziose risorse al recupero di giovani in contesti più precari. Perché dare 500 euro a tutti significa trattare in modo uguale individui che sono in situazioni di partenza diseguali, con buona pace del principio di eguaglianza delle opportunità. I fondi avrebbero potuto essere destinati, ad esempio, a progetti volti riequilibrare e compensare situazioni di difficoltà socio-economica, in zone particolarmente a rischio o periferiche, per sostenere l’inclusione sociale e la lotta al disagio giovanile.

Andrebbe pure tenuto presente che le persone più svantaggiate, con le proprie tasse, pagano il bonus erogato anche a chi non ne avrebbe bisogno. Ma anche questo pare non sia stato valutato.

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