Lorenzo Borrè, l’avvocato che ha difeso i ricorsisti di Napoli, è stato il primo a individuare la causa originaria dei problemi del Movimento 5 stelle: la fragilità degli statuti che lo regolano.

Dai tempi dei primi ricorsi di attivisti espulsi che ha seguito, il paradosso generato dalle regole interne è andato peggiorando. A partire dal non-statuto con cui Beppe Grillo aveva voluto stabilire «poche regole, ma chiare», l’integrazione progressiva di organi e norme collegate ha creato una struttura complessa e contraddittoria. Le due versioni successive dello statuto non hanno risolto il problema, anzi.

E oggi tutta la riorganizzazione di Giuseppe Conte, le sue nomine e tutti i suoi poteri rischiano di essere azzerati per vizi di forma individuati da un occhio allenato come quello di Borrè.

Gli inizi

Borrè è stato attivista del Movimento nel secondo municipio di Roma nei primi anni dopo il V-day. Dopo essersi allontanato della creatura di Grillo ha fatto sue le istanze di alcuni attivisti romani espulsi dai Cinque stelle, Roberto Motta, Antonio Caracciolo e Paolo Palleschi. Tutti e tre avevano criticato pubblicamente il sistema di votazioni e candidature pentastellato. Le loro riammissioni sono state conquistate da Borrè nel 2016 grazie a un cavillo legale individuato dall’avvocato nel non-statuto. Nei primi anni dei grillini, infatti, le associazioni “Movimento 5 stelle” erano due, una grande, a cui erano iscritti tutti gli attivisti, e una più piccola, composta solo dal fondatore, suo nipote Enrico, Gianroberto Casaleggio e un commercialista genovese, che però aveva il potere di decidere di tutte le espulsioni.

Borrè negli anni si è intestato tutti i ricorsi più importanti contro i vertici del Movimento: oltre a quello dei tre attivisti romani, sempre nel 2016 ha vinto la causa che riguardava 23 attivisti napoletani, poi quella di Marika Cassimatis, candidata sindaca del Movimento a Genova poi sfiduciata e sospesa da Grillo dopo che aveva vinto le comunarie contro il candidato del fondatore. Anche in questo caso l’avvocato aveva fatto riferimento alle contraddizioni interne dello statuto e alle regole che sulla carta vincolavano il capo politico alle scelte degli iscritti e il giudice Roberto Braccialini gli aveva dato ragione.

Negli anni successivi ha affrontato una alla volta tutte le questioni controverse che hanno offerto in sequenza il non-statuto originario di Grillo, dal 2017 il nuovo statuto dell’Associazione e dall’estate il testo elaborato da Conte.

Nel 2016 si è discusso per esempio della funzione assembleare del non-statuto, che prevedeva un’impossibile riunione di almeno 120mila iscritti: ogni decisione presa online in questo regime rischiava di essere annullata.

Anche la nascita della nuova associazione nel 2017 era risultata controversa per l’utilizzo di un simbolo già associato a un’altra organizzazione: Borrè aveva identificato un conflitto d’interessi tra le due.

Nel 2018 si era occupato della presunta irregolarità del trattamento dei dati da parte della piattaforma Rousseau.

Qualche tempo dopo, grazie alla controversia dei primi fuoriusciti dopo le elezioni del 2018, era venuto alla luce un vincolo di mandato “nascosto”. Il vincolo era pattuito con una scrittura privata che prevedeva una multa da diverse centinaia di migliaia di euro per chi avesse lasciato il Movimento. Un limite in contraddizione con le finalità dell’associazione, ma soprattutto con la Costituzione.

Il più recente ricorso vinto da Borrè è però quello di Carla Cuccu a maggio 2021. Nel caso della consigliera regionale, l’avvocato ha ottenuto che il tribunale determinasse che il Movimento, «rimasto privo di rappresentanza legale» cioè del comitato direttivo previsto dallo statuto del 2017, avesse un nuovo curatore legale.

Quella che sta travolgendo l’avvocato del popolo è l’ennesima battaglia di una guerra all’ultimo cavillo.

 

© Riproduzione riservata