I miliardi destinati alla sanità sono diventati 19,7, quelli all’istruzione quasi 28, 32 alle infrastrutture, 8 al turismo, 30 all’efficientamento energetico, quasi 46 quelli per la digitalizzazione, oltre 4 per il lavoro giovanile al sud – dove si riverserebbe trasversalmente la metà degli investimenti generali. Mercoledì sera in videoconferenza il ministro Roberto Gualtieri ha illustrato il nuovo Recovery plan. Il lavoro del suo ministero, con quello degli affari europei di Enzo Amendola e quello del ministro del sud Peppe Provenzano, con gli abbinamenti ai fondi di coesione, sembra aver fatto il miracolo dei pani e dei pesci. Il Pd apprezza, “nel merito” anche i Cinque stelle non sono scontenti. Ma non ancora Italia viva, che ha spento i computer e disertato la riunione. Perché Gualtieri ha preteso di illustrare la bozza senza farla leggere ai suoi interlocutori. Ieri il piano è stato consegnato alla maggioranza, ma i Cinque stelle si sono irritati: «Il testo è stato diffuso dopo le rimostranze di Iv», c’è chi spiega, «lavorare in questo modo, ascoltando liste di commi e cifre senza avere avuto mai una bozza è oggettivamente impossibile».

Stasera ci sarà la riunione fra Conte e i capidelegazione, che in genere precede di poco la convocazione del cdm. Ma Renzi resta un’incognita. E il segno che le difficoltà vengono da lì lo dà Goffredo Bettini, il grande mediatore, che torna a evocare il voto: Conte non rischia, assicura a Tpi, «è il pilastro dell’attuale alleanza», e «se qualcuno intende romperla, sarà il parlamento, e poi eventualmente gli elettori, a decidere se dovrà continuare a lavorare al servizio della Repubblica». Oggi è convocata la direzione Pd, all’ordine del giorno «la situazione politica».

Anche la giostra dei nuovi ministri gira a vuoto. Per Renzi, prima di siglare qualsiasi patto, Conte deve salire dimissionario al Colle. Conte non si fida e c’è chi ancora gli attribuisce l’intenzione di tentare la sorte al Senato, dove però senza Iv non ha i voti. E allora Renzi fa “più uno”. Ieri ha preso spunto dall’iniziale imbarazzo del premier sulle vicende di Washington per tornare alla carica sulla delega dei servizi segreti. A mettere in chiaro la nuova richiesta è Michele Anzaldi, che accusa Conte di «opachi rapporti» con l’amico americano e rispolvera la storia del G8 del 2018 in Canada «pieno di strane dichiarazioni del presidente americano», «il tentativo di sottomettere i servizi segreti italiani», «l’inchiesta propagandistica sul Russiagate». Conte, dice, «in questi anni ha mostrato una soggezione personale a Trump». Secondo i ben informati il premier ha già accettato di delegare i servizi segreti. Ma forse Iv teme che sia una finta. O alza la posta. Oppure non gradisce la rosa dei nomi che viene fatta.

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