Protagonista di una stagione del Colle non interventista e tenacemente rispettosa del parlamento, nelle ultime settimane il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a più riprese ha lanciato appelli all’unità delle forze politiche, alla collaborazione fra i diversi livelli delle istituzioni e al dialogo fra maggioranza e opposizione.

Lo scorso primo novembre, alla vigilia della festa dei Defunti, proprio mentre a Roma si accendeva lo scontro fra governo e regioni, a sorpresa è andato a deporre una corona al cimitero di Castegnato (Brescia), su una stele dedicata ai morti per Covid. Da lì il capo dello Stato ha scoccato una freccia: «Ricordare i nostri morti è un dovere che va affiancato a quello della responsabilità di proseguire nell’impegno per contrastare e sconfiggere questa malattia così grave, mettendo da parte partigianerie, protagonismi ed egoismi per unire le forze di tutti e di ciascuno, quale che sia il suo ruolo e le sue convinzioni».

Il giorno dopo, quando la baruffa sulle zone rosse era ormai esplosa, ha sentito Stefano Bonaccini e Giovanni Toti, presidente e vicepresidente della Conferenza delle regioni. E il 3 novembre ha chiamato al Quirinale i presidenti della Camere Roberto Fico e Elisabetta Casellati per ribadire la sua attenzione alla «centralità» del parlamento e invitarli a «favorire» un cambio di passo nel rapporto fra maggioranza e opposizione.

Il presidente, tradizionalmente poco protagonista, diventa così il discreto ma visibile regista di un dialogo reso necessario dalla crisi sanitaria e sociale. Un dialogo che però non parte. Al di là delle parole di circostanza, mai come questa volta i suoi appelli cadono nel vuoto.

La cabina di regia

Alla vigilia del nuovo Dpcm il premier Giuseppe Conte ha tentato una mossa formale e maldestra: con un colpo di telefono ha proposto una «cabina di regia» ai leader dell’opposizione. Su un provvedimento sostanzialmente già scritto. La risposta è un no pubblico e sonoro, anche se con toni diversi fra Forza Italia e Lega.

Nei giorni successivi la musica è stata la stessa, ed è stata una generale cacofonia. Per tutta la settimana le opposizioni hanno fatto il tiro al piccione sul premier e sul ministro della salute. Ieri lo scontro si è allargato alla conferma del commissariamento della sanità calabrese. Il commissario uscente, il generale Saverio Cotticelli, a Titolo V (RaiTre) ha candidamente ammesso di non sapere di dover fare un «Piano Covid». Il guaio è che il generale è stato nominato dal governo Conte, ma quello gialloverde. Ora Forza italia chiede che al suo posto vada Guido Bertolaso. Una provocazione all’indirizzo di Pd e M5s.

Il «dialogo» che Mattarella auspica e indica evidentemente non s’ha da fare. Ma non si può intestarne l’esclusiva responsabilità alle destre. Il segretario Pd Nicola Zingaretti da tempo chiede a Conte di imprimere un’accelerata, anche nella maggioranza. Ma i Cinque stelle frenano. E Conte su loro non insiste. C’è chi lo spiega guardando alla futura elezione del nuovo inquilino del Colle: chiunque ambisca a farlo deve passare per i voti del “movimento”.

Parlamento in ritardo

Nelle camere qualcosa si muove, ma anche lì non c’è da farsi troppe illusioni. Il Colle non ha espresso preferenze per lo «strumento» istituzionale, né è nelle sue prerogative.

Roberto Fico propone una «supercapigruppo», cioè la conferenza unificata fra i presidenti delle camere e quelli dei gruppi politici. La sua collega Casellati non ne è convinta.

Giovedì prossimo in commissione Affari costituzionali del senato saranno ascoltati esperti e costituzionalisti: Francesco Clementi, Andrea Pertici, Massimo Villone, Alfonso Celotto, Luciano Violante, Fulvio Pastore, e Ugo De Siervo. Sono stati già «auditi» Nicola Lupo, Giovanni Guzzetta, Fabio Cintioli e Giulio Napolitano. Il parlamento italiano è in ritardo.

In Francia, allo scoppio della pandemia, il presidente dell’assemblea ha riunito i presidenti di commissione e dei gruppi per una missione conoscitiva, poi affidata a una commissione ad hoc che prepara una relazione per fine anno. In Irlanda è stato istituito un comitato parlamentare. In Canada una commissione speciale. In Israele commissioni temporanee; e così in Australia, Norvegia, Nuova Zelanda e Filippine.

Persino nei travagliati Stati uniti una commissione ristretta è stata incaricata di presentare una relazione mensile. Il presidente Dario Parrini (Pd) pensa a una bicamerale sul modello del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica: «Nessuno nega che in un momento di emergenza una ‘supercapigruppo’ possa avere un ruolo utile. Ma serve una commissione che abbia poteri di indirizzo e controllo, con un ufficio di presidenza agile che possa convocarsi e prendere iniziative ad horas».

Realpolitik

Per istituirla serve una legge, ma per Parrini «se c’è volontà politica bastano cinque giorni». La presidenza dovrebbe andare alle opposizioni: «Nessuno scandalo, basta che sia una personalità di equilibrio», conclude.

Dunque gli organismi da zero potrebbero diventare due. I Cinque stelle per ora tacciono. Ma a levare loro le castagne dal fuoco è il leghista Roberto Calderoli, uno a cui non manca il senso della realpolitik: «Diceva Craxi che quando bisogna prendere tempo per non fare nulla si fa una commissione. Quelle della maggioranza sono tutte soluzioni per fare finta di fare, ma non fare niente nella realtà. Ci sono le commissioni permanenti e l’aula. Se vogliono ascoltare e accogliere le nostre proposte, queste sono le sedi proprie».

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