Campo largo, un’alleanza a perdere. Per Schlein e Conte un bagno di realtà

L’ora della verità per il campo largo è suonata in Calabria. Ed è un’ora più nera di quanto già nera non fosse attesa. Il trionfo del presidente Roberto Occhiuto era scontato. A bruciare forte, a sinistra, è la distanza che l’uscente ha dato al candidato del centrosinistra Pasquale Tridico, europarlamentare M5s, ex presidente Inps, di certo uno dei volti più conosciuti del Movimento: il forzista vola poco sotto il 60 per cento e semina l’avversario al 40. Quasi 20 punti. Allo scorso voto regionale, nel 2021, Occhiuto si era fermato poco sopra il 54, e la somma delle percentuali della candidata di Pd e M5s, Amalia Bruni, e dell’allora terzo incomodo Luigi De Magistris, superava quota 43. A fine spoglio si peseranno i voti assoluti. Ma la morale provvisoria è: il centrosinistra in versione unitaria, e a guida pentastellata, di nuovo non tocca palla. Come e peggio di quello che è già successo una settimana fa nelle Marche. Le straordinarie mobilitazioni proPal di queste settimane non portano niente al centrosinistra. Calabria, Occhiuto vince e porta la destra sul 2-0. Ma in Campania è scontro Il dato calabrese deve essere combinato con l’affluenza: già bassa nel 2021, quando aveva votato il 44,36 per cento, stavolta frana ancora, si attesta al 43,14. Nel mare dell’astensionismo, la destra galleggia, ma la sinistra affonda. Perdono tutti Un’intera coalizione «testardamente unitaria» è costretta a guardarsi allo specchio senza più la deformazione della propaganda. Il tonfo calabrese fa piazza pulita dei luoghi comuni di tutti, e costringe i vertici dei partiti a guardare in faccia la realtà, ciascuno in proprio e poi insieme nella coalizione. A poco servono le attenuanti: spiega il Pd di aver avuto solo venti giorni di campagna elettorale. Ma è difficile girarci intorno, la lezione è dura, per tutti. Innanzitutto viene smentita la narrazione pentastellata, in base alla quale senza un candidato proprio il loro elettorato non vota: il candidato c’era, ma il M5s scende dal 6,4 al 6. È vero che la lista del presidente prende il 7 per cento. Ma ora il timore è che il meccanismo della disaffezione degli elettori possa colpire anche Roberto Fico in Campania. Il consenso non basta: quei «piccoli partiti» che ci governano Il Pd tiene il suo 13 per cento, quello dello scorso giro. Anche se Nico Stumpo, deputato calabrese e uomo di grande esperienza organizzativa, spiega che i dem in Calabria hanno fatto due liste, quella di partito e i Democratici e progressisti. Con una sola lista il Pd sarebbe stato il primo partito della regione: «Abbiamo pensato alla coalizione». E però la coalizione non è decollata. «Il tema politico ora è riuscire a fare un salto di qualità tutti», ragiona, «non siamo riusciti fino in fondo a dire le cose che andavano fatte, ha funzionato di più la grande capacità comunicativa di Occhiuto. Ma non bisogna criticare gli elettori, tocca a noi capire come fare meglio». La sconfitta più dolorosa in Calabria: il M5s perde anche “in casa” Alleanza a perdere La doccia fredda, per le dimensioni della sconfitta, cementa l’alleanza fra Pd e M5s, ormai costretti a correre insieme. Ma nei primi due voti regionali dell’autunno è stata percepita come un’alleanza fra perdenti. Nel Pd già si levano le voci riformiste che avvertono che le «scorciatoie populiste» non portano da nessuna parte. Discorso generale, ma anche particolare verso Tridico: è il padre del reddito di cittadinanza – una stagione che il voto calabrese archivia definitivamente – e in campagna elettorale ha proposto la sospensione del bollo auto «fino a quando non saranno garantite strade, infrastrutture degne». Non ci ha creduto nessuno. La sconfitta è «netta», ammettono Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, leader di Avs (che si è fermata sotto il 4 per cento, ma nel 2021 non c’era). «L’unità della coalizione è condizione necessaria ma non sufficiente», avvertono, il campo progressista risulta «il frutto di improvvisazione e di necessità più che l’espressione di una chiara idea di paese. Un cambio di passo non può più essere rinviato». Il popolo torna a fare politica, perciò Meloni lo criminalizza Il riferimento è alla coalizione nazionale. L’alternativa, per Arturo Parisi, padre dell’Ulivo e critico della linea Schlein, «al momento non c’è» e «guai se qualcuno tornasse a immaginare che l’alternativa sia tra il palazzo e la piazza». Non c’è l’alleanza, anche se converge nelle piazze e sui singoli voti in parlamento. Il prossimo weekend va al voto la Toscana, il 23 e il 24 novembre tocca a Veneto, Campania e Puglia. Risultati scontati: tre a sinistra e una alla destra. Per questo Igor Taruffi, responsabile organizzazione dem, chiede di non precipitare le conclusioni: «Come abbiamo sempre detto, i conti di questo turno elettorale andranno fatti alla fine. Marche e Calabria sono due importanti regioni che insieme contano circa 3 milioni di abitanti», Toscana e Puglia «contano oltre 4 milioni di abitanti ciascuna» e «la Campania, con 6 milioni di abitanti, la seconda regione più popolosa d’Italia e la prima del Mezzogiorno». I conti torneranno? Difficile: lo stato di salute del campo largo assomiglia, al momento, molto più a quello che si è visto nelle Marche o, peggio, in Calabria, che in quello che si vedrà in Campania o Puglia. Le regionali hanno stabilito che l’alleanza è una strada senza ritorno. Ma, per ora, anche senza speranza.