C’è chi racconta che l’annuncio, anticipato dal quotidiano Repubblica, abbia scatenato la reazione contraria dei Cinque stelle, anche quelli a lui più vicini. E c’è chi, come il forzista Francesco Giro, è invece convinto che «appena saputo di Carlo Calenda come possibile sfidante si è dato a gambe». Il fatto, se di fatto si può parlare, è che in queste ore dall’entourage di Giuseppe Conte filtra un «più no che sì» alla candidatura dell’ex premier alle suppletive del prossimo 16 gennaio nel collegio di Roma 1.

I vertici del Pd sono rimasti spiazzati. Perché a ieri sera il sì di Conte era considerato un dato acquisito, dopo la richiesta formulata dal segretario Enrico Letta e dal ministro Dario Franceschini, fra i maggiori sponsor dell’alleanza giallorossa.

Prima che filtrasse la notizia, i due avevano già incassato la benedizione di Nicola Zingaretti, che nel tardo pomeriggio, alla fiera “Più libri più liberi” a Roma, ne aveva parlato pubblicamente («Penso sia un’opportunità da valutare: noi dobbiamo costruire un’alleanza che si prepara alle elezioni per vincere le elezioni. Chi vuole costruire un’alleanza pensa all’Italia e al suo benessere, chi la piccona pensa, illudendosi, solo a sé stesso e a “lucrare” punti di posizione per poi magari trattare sui collegi»).

Ma anche quella di Goffredo Bettini, amico e grande sponsor dell’alleanza con l’ex premier. E di Roberto Gualtieri, il sindaco di Roma che per quel collegio da deputato – il suo – avrebbe preferito Enrico Gasbarra; ma che certo non può dire no a Conte, che lo ha sostenuto al secondo turno delle comunali e nel cui governo è stato ministro dell’Economica.

La notizia peraltro avrebbe fatto dimenticare un weekend turbolento  per il Campidoglio, dopo che Il Foglio aveva dato la notizia di una riunione sulle nomine, dal teatro dell’Opera all’Auditorium, finita male e durante la quale il sindaco avrebbe platealmente rotto con Goffredo Bettini (non presente).

L’improvvisazione

La mossa del Nazareno ora rischia di fallire, e di rivoltarsi contro gli ideatori. Del resto è stata un po’ improvvisata. Nei mesi scorsi Conte per due volte aveva fatto smentire l’intenzione di correre alle suppletive (a Siena e a Primavalle) perché avrebbe preferito entrare in parlamento dalla via maestra delle prossime elezioni e non per acciuffare un ultimo scampolo di legislatura.

Per dire sì a Letta – sempre che non sia stato lui a chiedere di essere candidato, come pure sostengono alcuni deputati dem – dovrebbe rimangiarsi la parola, sport in cui del resto il leader del M5s ha un certo know how. Ed esporsi, al proprio interno, al sospetto di andare in parlamento con i voti del Pd e al servizio di Letta.

Ma poi ci sono state le reazioni all’ipotesi della sua candidatura nel resto dell’area del centrosinistra. Carlo Calenda è andato molto vicino ad annunciare la sua “discesa in campo” in caso l’ex premier decida di candidarsi davvero. Con un tweet che lascia presagire uno scontro all’ultimo voto.

Perché i voti pesano, in quel collegio. Il centrosinistra lo considera un seggio sicuro. Nel 2018 Paolo Gentiloni è stato eletto con il 42 per cento, nel 2020 alle suppletive Roberto Gualtieri ha preso il 62 per cento dello scarso 17 per cento dei votanti, circa trentamila persone. Ma alle ultime amministrative per Roma, lì Gualtieri e Calenda al primo turno sono arrivati appaiati intorno al 30 per cento. E Virginia Raggi – che per l’ex premier non muoverebbe un dito – è rimasta ferma al 10.

Insomma, non solo Calenda potrebbe azzoppare il prestigioso candidato giallorosso, ma potrebbe batterlo. Tanto più che Matteo Renzi sarebbe pienamente della partita. «Se nel collegio Roma 1 il Pd candida Conte, la candidatura riformista noi la troveremo in ogni caso», scrive prontamente nella sua newsletter, «perché il Pd può fare quello che crede, ma regalare il seggio sicuro (a quel punto forse non più sicuro?) al premier del sovranismo, all’uomo che ha firmato i decreti Salvini, all’avvocato che non vedeva differenza tra giustizialismo e garantismo significherebbe subalternità totale». Dulcis in fundo: le destre cominciano a far balenare l’idea di una desistenza a favore di Calenda.

Letta rischia sul Quirinale

Un domino di reazioni che incredibilmente il Nazareno non aveva preso in considerazione. Letta e Franceschini avrebbero immaginato la mossa per rafforzare Conte in parlamento, dove la sua leadership fa fatica a consolidarsi, e così rafforzare anche l’alleanza del Pd con i Cinque stelle, in vista delle manovre per il Quirinale ma anche del voto anticipato, che sembra avvicinarsi insieme alla probabilità che Mario Draghi scelga di rendersi disponibile per il Colle. Nessuno nel Pd, anche i più dubbiosi, hanno fermato i vertici prima che la cosa diventasse di pubblico dominio.

Se nelle prossime ore Conte dovesse declinare, lo smacco sarebbe tutto per il segretario Letta. E certo non sarebbe un buon viatico per il suo ruolo alla vigilia del voto per il Colle.

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