Un sit-in davanti all’ambasciata e al consolato egiziano e un appello della famiglia al governo per sbloccare il processo per la morte di Giulio Regeni, il dottorando ucciso in Egitto nel 2016: gli alti funzionari della National Security egiziani, Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif, imputati per il sequestro, le torture e l’omicidio del giovane ricercatore italiano non si sono mai presentati e l’Egitto non ha mai permesso che arrivassero loro le notifiche del processo.

La prossima udienza è prevista per il 31 maggio e Festival dei Diritti Umani, Fondazione Diritti Umani con Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Associazione Lombarda dei Giornalisti, Fondazione Roberto Franceschi, Articolo 21 e Aidi - Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia, hanno promosso le manifestazioni davanti alle sedi diplomatiche rispettivamente a Milano e Roma e hanno letto la lettera firmata dalla famiglia Regeni.

«Sono ormai più di 7 lunghi e dolorosi anni che noi assieme alla scorta mediatica ed al popolo giallo chiediamo verità e giustizia processuale per il barbaro omicidio di Giulio Regeni», si legge nella missiva, che prosegue: «È tempo che l'Egitto dopo innumerevoli vane promesse collabori con il nostro governo, ed è tempo che il nostro governo pretenda senza se e senza ma che i 4 imputati per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio».
Per questo, prosegue il messaggio, «è importante scandire i loro nomi, perché la notizia del processo a loro carico li raggiunga ovunque si trovino e perché non possano più far finta di non sapere. Laddove non possono arrivare gli ufficiali giudiziari notificando ai quattro imputati l’invito a comparire, arriverà l’eco della nostra scorta mediatica, che siete tutti voi».
Questo processo, ribadisce la famiglia, «si deve fare e si deve fare in Italia, perché non è accettabile che chi tortura e uccide pagato da un regime che il nostro paese ritiene “amico”, possa abusare del nostro sistema di diritto e godere dell’impunità. È una battaglia di dignità che riguarda tutti noi».

I sit-in

LaPresse

Nel corso degli eventi sono stati letti i nomi degli imputati «perché non ci siano dubbi sulla loro identità e sulla notorietà del processo a loro carico». Nel comunicato le associazioni ricordano che «fingono di non sapere di essere chiamati a processo e si rifiutano di eleggere un domicilio in Italia e di ricevere le notifiche». L’Egitto non ha mai avallato la versione processuale dell’Italia.
Una vicenda che per i manifestanti è «assurda e inaccettabile dopo che la notizia della tragedia di Regeni ha fatto il giro del mondo».

Danilo De Biasio, Responsabile del Festival dei Diritti Umani che si terrà a Milano dal 3 al 6 maggio presso il Memoriale della Shoah, denuncia ancora una volta la negata giustizia ai familiari di Giulio Regeni: «È un diritto difendersi in un regolare processo, non certo mancare di rispetto ai familiari e ai cittadini sottraendosi alla giustizia». Finora ci sono state solo parole e promesse, prosegue: «Speriamo che dal Governo italiano vengano segnali concreti e non silenzi di tomba».

A Domani spiega l’allarme che li muove: «Temiamo che cada la nebbia sul caso Regeni. Siamo più o meno  un mese dalla prossima udienza. La speranza è che il governo abbia il tempo necessario per fare una mossa. Glielo chiedono i genitori da tempo. Gliel’abbiamo chiesto oggi noi giornalisti e associazioni che si battono per i diritti umani».

La famiglia ha ringraziato «tutte le associazioni e le singole persone che oggi, davanti all'Ambasciata d'Egitto a Roma e davanti al Consolato egiziano a Milano, hanno deciso da che parte stare».

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