Dentro Fratelli d’Italia, fin dal nome, c’è un sapore di famiglia, una fratellanza patriottica. E partitica. Ne sa qualcosa il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, che non lascia indietro i suoi fratelli di partito, trasformando Palazzo Chigi in un territorio nel quale piazzare qualche vecchia conoscenza, rimasta fuori dalle istituzioni. In qualche caso c’è addirittura la possibilità di ricevere una remunerazione aggiuntiva per chi è parlamentare in carica. È il caso del deputato Alessandro Urzì, eletto a Bolzano, che alla presidenza del Consiglio risulta componente della “Commissione paritetica di nomina statale per lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige”, quella che fa capo al ministero degli Affari regionali di Roberto Calderoli.

Il leghista ha firmato il decreto ministeriale che mette nero su bianco il conferimento dell’incarico all’alleato in maggioranza. Un accordo che prevede per Urzì un compenso ulteriore, oltre a quello percepito dalla Camera. Non una cifra stellare, 773 euro lordi mensili che in un anno ammontano a più di 9mila euro, cumulabili sulla base della compatibilità delle funzioni.

L’esponente bolzanino del partito di Giorgia Meloni ha i titoli per sedere nell’organismo che svolge un ruolo consultivo e che rappresenta uno strumento di raccordo tra Stato e Regioni ad autonomia speciale. L’obiettivo è la ricerca di una «sintesi positiva tra posizioni ed interessi diversi». E in questo caso Urzì si dimostra abile in materia.

L’esperto con licenza media

Ma se in questo caso si parla di un parlamentare in carica, alla presidenza del Consiglio si è riposizionato professionalmente un altro esponente di Fratelli d’Italia, che però ha fallito il ritorno a Montecitorio alle politiche del 2022. Si tratta di Massimiliano De Toma, eletto deputato nel Movimento 5 stelle nella scorsa legislatura. A gennaio 2020 è arrivata la rottura con i pentastellati. Ha vissuto un anno di purgatorio nel gruppo Misto della Camera. Ecco quindi la folgorazione per la fiamma nel marzo 2021. Ma non è bastato.

È stato candidato come quarto nel listino plurinominale della circoscrizione di Roma centro, ma nemmeno il grande risultato del partito di Meloni è stato salvifico. Ha dovuto suo malgrado accomiatarsi dal Transatlantico, di cui è stato meritoriamente un assiduo frequentatore. I patemi d’animo sul futuro sono stati subito fugati. Il governo si è insediato ed ecco che è stato previsto un ruolo per l’ex parlamentare.

Il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, ha voluto De Toma al suo fianco in qualità di consulente, in qualità di «esperto con il profilo di coordinatore tecnico» per un compenso di 45mila euro. Saltate a piè pari le perplessità sulle competenze, visto che il perimetro dell’incarico è piuttosto vago. De Toma, secondo gli atti della Camera, ha conseguito la licenza media. Nel curriculum depositato a Palazzo Chigi viene citato solo un biennio all’Itis Meucci di Roma, senza il completamento del ciclo di studi, né particolari esperienze nel campo dell’innovazione. Poco male: il contratto da coordinatore di un anno è blindato fino al 14 dicembre 2023.

Fratello di sconfitte

Nell’oceanica schiera di consulenti al comando di Butti, c’è un altro sodale di partito che ha trovato spazio: Stefano Molinari, storico dirigente di Fratelli d’Italia in Lombardia e conterraneo del sottosegretario all’Innovazione. Il percorso di Molinari è stato costellato da insuccessi negli ultimi periodi: nella sua Como, il centrodestra è rimasto fuori dal ballottaggio alle comunali del 2022. Male è andata la candidatura per un seggio a Montecitorio alle ultime elezioni politiche. E ancora peggio sono finite le Regionali in Lombardia, in cui è stato il primo dei non eletti nel suo collegio. Già a gennaio ha però potuto consolarsi con il ruolo di «account manager», che vale 50mila euro fino a inizio 2020, al dipartimento di Butti.

La sede del governo non è l’unica a cui approdare, per gli amici di vecchia data. Manca poco alla nomina di Maurizio Castro all’Inps. L’ex senatore del Pdl, in quota Alleanza nazionale, era uscito dai radar, tornando alla carriera di manager, sempre con buoni rapporti nell’area meloniana.

Archiviata l’esperienza a Palazzo Madama ha assunto il ruolo di presidente del gruppo Quanta, un’agenzia per il lavoro orientata principalmente alla somministrazione di lavoro. Per Castro, ora, si spalancano le porte di un’altra opportunità lavorativa. Più legata al vecchio amore politico che all’imprenditoria.

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