La strage infinita: perché contro i femminicidi le leggi da sole non bastano

L’11 novembre 2023 Giulia Cecchettin è stata uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Due anni fa, come oggi, le piazze erano ancora vuote, si sarebbero riempite dai giorni seguenti, dopo l’arresto di Turetta e il ritrovamento del corpo di Cecchettin. E sarebbero state piene per giorni, in tutta Italia. «Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto», gridavano. In questi anni la politica ha provato a fare la sua parte, anche con nuove leggi. Pochi giorni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin il parlamento ha approvato una legge che ha rafforzato parte delle norme del “Codice rosso”. Non è stato l’unico intervento normativo in questi due anni: entro fine novembre dovrebbe essere approvato in via definitiva il disegno di legge che introdurrà il reato di femminicidio nel Codice penale (articolo 577-bis). La nuova norma prevede l’ergastolo per chi uccide una donna «come atto di odio, discriminazione o dominio in quanto donna», o in relazione a un rifiuto o a un tentativo di controllarla. In più, il testo contiene anche alcune novità che mirano a tutelare le vittime di violenza, come l’obbligo per il pubblico ministero di ascoltare personalmente la vittima, senza la possibilità di delegare alla polizia giudiziaria. Ma le leggi per contrastare la violenza contro le donne non sono tutte così recenti: molte sono state introdotte prima del femminicidio di Giulia Cecchettin. Uno degli interventi più rilevanti, anche se in parte ancora inapplicato, è la Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 e ratificata dal parlamento italiano nel 2013. Si tratta del più importante strumento internazionale per il contrasto e la prevenzione della violenza contro le donne, con cui l’Italia si è impegnata ufficialmente a prevenire e combattere il fenomeno, proteggere le vittime e punire i colpevoli. Tra le altre leggi, c’è poi il già citato “Codice rosso”, che dal 2019 ha introdotto procedure accelerate e maggiori tutele a favore delle vittime di violenza. Le norme, quindi, non mancano. Eppure negli ultimi anni i femminicidi non accennano a diminuire. Secondo i dati Istat, nel 2023 c’erano stati 96 femminicidi, 106 nel 2022, 104 nel 2021, 104 del 2020, 101 nel 2019. «Senza dati aperti non possiamo comprendere né prevenire la violenza di genere». La campagna che chiede trasparenza Che cosa manca «Quello che bisognerebbe finalmente evitare è concentrare l’attenzione sul fenomeno dei femminicidi solo in presenza dell’emergenza, che ovviamente accende i media, accende l’opinione pubblica, ma si spegne poco dopo, producendo solo qualche piccolo intervento», ha detto Delia La Rocca, docente di Diritto privato all’Università di Catania durante un’audizione in commissione Femminicidio a luglio 2024. Secondo La Rocca, ai problemi di funzionamento del sistema che lavora al contrasto della violenza, si aggiunge «la carenza di formazione, e soprattutto la carenza di specializzazione degli operatori che sono chiamati a intervenire», come le forze dell’ordine, il personale medico-sanitario, gli operatori dei servizi sociali e del sistema giudiziario. Centrale è poi il tema della prevenzione. «Serve sicuramente un intervento organico e coordinato con le diverse istituzioni preposte al sistema educativo, all’istruzione universitaria e alla formazione, destinato a promuovere l’educazione sulla violenza di genere», ha aggiunto La Rocca. «Occorre che ci sia una vera e propria prevenzione. Occorrono, quindi, investimenti stabili nella formazione specialistica». Secondo molte esperte, e come è stato scritto più volte su questo giornale, un punto centrale è proprio quello dell’educazione. Come ha detto in commissione Femminicidio Patrizia Scotto Di Santolo, vicepresidente dell’associazione “Senza veli sulla lingua”, «nei prossimi anni la vera sfida sarà la capacità di incidere sul dato culturale, il solo che possa portare al cambiamento verso una società libera dalla violenza e dagli stereotipi di genere». E questa «sfida» dovrà passare attraverso l’educazione «all’affettività e alla sessualità». Insomma, due anni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, il paese continua a chiedersi come arginare una violenza che le leggi da sole non bastano a fermare. Così che presto quel «se domani tocca a me, voglio essere l’ultima» non sia più un grido nelle piazze, ma diventi finalmente realtà. Oltre i femminicidi: quella violenza che la comunità non legge