Una violenza che riguarda tutti, raccontare il femminicidio Cecchettin

La violenza di genere non riguarda solo la vittima e l’autore, ma tira in causa tutta la società: genitori, nonni, amici, compaesani, anche sconosciuti che con le persone coinvolte non c’entrano niente. Perché quello della violenza è un fenomeno sociale e come tale deve essere affrontato, e raccontato. Proprio questo sguardo collettivo attraversa Adorazione, il primo romanzo della scrittrice e sceneggiatrice Alice Urciuolo pubblicato per 66thand2nd ormai cinque anni fa, nominato nella dozzina del Premio Strega 2021 e da cui, nel 2024, è stata tratta una serie tv disponibile su Netflix. Il romanzo, tramite le vite di un gruppo di adolescenti, racconta una comunità che affronta un femminicidio, quello di Elena, uccisa dal fidanzato Enrico. Adorazione è la storia dell’adolescenza, della provincia, e dei meccanismi silenziosi attraverso cui la violenza si insinua nelle relazioni e nella vita quotidiana. La storia è ambientata a Pontinia, un piccolo centro di fondazione fascista nell’Agro Pontino. Quella provincia non è solo una cornice geografica, è uno specchio del paese. Dietro le strade e le case costruite sul modello della famiglia tradizionale, riaffiorano ancora le tracce di una cultura che fatica a riconoscere e affrontare la propria eredità patriarcale. A due anni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, rileggere Adorazione significa riconoscere, anche attraverso la finzione, le radici di un problema che riguarda tutti e tutte, compresi i giovani. Perché anche i libri possono diventare uno spazio in cui analizzare ciò che troppo a lungo è rimasto invisibile. Leggi e femminicidi, cosa è cambiato dopo l’omicidio Cecchettin Il suo romanzo d’esordio affronta il tema del femminicidio, evitando qualsiasi forma di spettacolarizzazione. Come si affronta questo argomento senza adottare narrazioni che raccontano in modo scorretto la violenza di genere? Adorazione non è la storia di Elena ed Enrico, ma di chi li circonda: gli amici, la comunità. Secondo me è necessario mettere al centro della narrazione la società e non il singolo caso di femminicidio. Avevo iniziato a scrivere il romanzo in prima persona – dalla prospettiva di Diana, una delle protagoniste della storia –, poi a metà scrittura mi sono accorta che volevo far emergere diverse voci, e quindi ho riiniziato da capo scrivendo in terza persona. Da dove nasce la decisione di allargare lo sguardo e far parlare l’intera comunità? Volevo far capire che tutte le amiche di Elena e tutti gli amici di Enrico potevano essere al posto di Elena ed Enrico. Le narrazioni molto dettagliate e morbose danno l’illusione che quel fenomeno non ci riguardi perché l’attenzione è incentrata su quella storia particolare. Avevo bisogno di tante voci per restituire l’impressione che la comunità aveva di Elena ed Enrico, le false credenze in merito alla loro relazione, all’idea generale di uomo e di donna. Qui la storia è di tutti, e la struttura del romanzo doveva adattarsi a questa necessità. È un romanzo corale, parla degli altri. I femminicidi sono dappertutto. Ma di più dove le donne sono più emancipate Il libro è uscito cinque anni fa. Crede che oggi ci sia una maggiore consapevolezza sul tema della violenza rispetto al 2020? Pochi mesi fa Adorazione è stato tradotto in Francia e in Germania, e in questo periodo sto facendo le presentazioni del libro. Mi sono accorta che rispetto al 2020 qualcosa è cambiato: allora, presentando il romanzo, avevo la sensazione che non tutti seguissero i temi che affrontavo e a volte dovevo fermarmi per specificare cosa intendevo con “società patriarcale” o “femminicidio”. Nel 2020 il tema era presente nel dibattito pubblico, ma in misura minore rispetto a oggi. Già allora mi colpivano le notizie di ragazze e ragazzi giovanissimi coinvolti in casi di femminicidio; probabilmente se ne parlava meno, non perché non accadessero, ma perché le notizie su questi fatti erano meno diffuse. Nel libro le generazioni faticano a comunicare e spesso la responsabilità sembra ricadere sui genitori. Perché ha scelto di raccontare il mondo degli adulti in questo modo? Quello è il mondo adulto che conosco. Nel libro c’è tanto della mia adolescenza e delle mie esperienze, che poi non sono molto diverse da quelle di tanti altri. I genitori presenti nel romanzo sono inadeguati, incapaci di parlare tra loro e con i figli di ciò che è successo a Elena. Non penso però di avere uno sguardo giudicante sugli adulti perché a loro volta non hanno ricevuto gli strumenti necessari dai propri genitori: è tutta la società che è basata sul silenzio. Ricordare Giulia Cecchettin non basta: «Serve subito l’educazione sessuo-affettiva a scuola» Quanto influisce, secondo lei, quella mancanza di strumenti per parlare di sessualità e affettività sulle scelte e sulle fragilità di ragazzi e ragazze? Nel libro nessun adulto ha gli strumenti per parlarne, nessuno saprebbe dire perché Enrico ha ucciso Elena. Nell’ultimo periodo si discute tanto dell’educazione sessuo-affettiva e c’è chi ritiene che debba essere fatta in famiglia. Il problema è che le famiglie spesso non la fanno. Ma quelle omissioni, quei silenzi, quella vergogna vengono percepiti da una figlia o un figlio, e hanno delle conseguenze. In Adorazione il tema della provincia è centrale. Che ruolo ha l’ambiente nella costruzione delle dinamiche di violenza nel romanzo? Io vengo da quei luoghi, sono nata e cresciuta in provincia di Latina, ho studiato lì. Anche se le dinamiche della provincia si somigliano tutte, quelle sono città particolari perché fondate dal regime fascista, quindi giovanissime, senza un centro storico e costruite con l’architettura nazionalista. Quando ho iniziato a scrivere Adorazione ho capito che i temi centrali sarebbero stati le dinamiche di potere tra uomini e donne e le conseguenze della violenza. Quella provincia mi sembrava il posto giusto per ambientare questa storia, perché il fascismo aveva fatto della famiglia tradizionale il nucleo fondamentale della propria società. Elena è il prodotto di quel sistema di ruoli e silenzi. Ma i femminicidi ovviamente non accadono solo in provincia: è come se questo piccolo luogo chiuso in realtà fosse universale. Il bisogno di un’informazione libera per contrastare la spettacolarizzazione mediatica di violenze e femminicidi I libri come Adorazione, che adottano una narrazione corretta del femminicidio e, più in generale, della violenza di genere, possono essere uno strumento utile per i giovani? Quando ero giovane andavo a cercare nei libri quello di cui avevo bisogno, ma dobbiamo ricordarci che nessun libro ha una formula magica. I libri richiedono una postura attiva, sei tu – lettore – che devi andare a ricavare quello di cui senti la necessità. Nei libri e nelle serie tv scrivo le cose di cui io stessa ho avuto bisogno a un certo punto della vita. Spero che possano essere di aiuto anche a molti lettori di oggi. Oltre i femminicidi: quella violenza che la comunità non legge