Il successo della nomina al vertice della commissione Esteri della azzurra Stefania Craxi grazie al voto unitario del centrodestra allevia solo in parte le sofferenze interne a Forza Italia.

Nei giorni scorsi, tre episodi hanno alzato il livello di tensione interno al partito. Prima il cambio di coordinatore in Lombardia e la nomina della fedelissima di Silvio Berlusconi, Licia Ronzulli, ha fatto infuriare la ministra Mariastella Gelmini e tutta la compagine più “governista” del partito.

Poi la sparata del Cavaliere contro la Nato e il presidente americano Joe Biden ha fatto fare un salto sulla sedia ai ministri azzurri che hanno subito subdorato influenze leghiste.

Infine il vertice di Arcore per riunire il centrodestra, che però non ha convinto Giorgia Meloni e ha riaperto la questione delle regionali in Sicilia, dove Fi ha capitolato alle richieste della Lega.

Ora, lo scontro è acceso tra le due fazioni di Forza Italia: da una parte i ministri Gelmini, Carfagna e Brunetta con i loro parlamentari di riferimento, che vorrebbero un partito liberale e sponda fedele del governo; dall’altra il coordinatore nazionale Antonio Tajani e il “soldato di Berlusconi” Licia Ronzulli, sempre al fianco del Cavaliere, che invece suggeriscono al capo un avvicinamento forte alla Lega soprattutto in ottica elettorale.

Su tutte le componenti l’influenza di Berlusconi rimane forte, ma la compagine ministeriale sta alzando sempre più i toni su un «presidente sempre più condizionato da cattivi consiglieri», dice una fonte legata a quell’area. Un condizionamento che sta logorando il partito anche nei territori dove regge – Lombardia in testa, ma anche Sicilia – mettendo i dirigenti uno contro l’altro.

A esplicitarlo è stata la ministra Gelmini in una intervista al Corriere della Sera, che ha detto di «non riconoscere lo stile e il metodo del presidente Berlusconi» nelle dichiarazioni anti-Nato e ha contestato la linea di Fi appiattita sulla Lega. Se in parlamento non sembrano esserci cedimenti rispetto al sostegno al governo (nemmeno la Lega vuole strappi in questa fase) il rischio è che lo scontro scoppi internamente, a pochi giorni dalla convention nazionale di Napoli e proprio nel momento in cui si sta cercando la difficile ricomposizione del centrodestra.

Il caso Sicilia

Il vertice di Arcore, infatti, ha mostrato come il tocco magico di Berlusconi nel mettere d’accordo Matteo Salvini e Giorgia Meloni questa volta abbia funzionato solo a metà. La leader di FdI si è mostrata fredda alle lusinghe e non si è fatta bastare le promesse di metodo: ha chiesto esplicitamente la riconferma della candidatura del governatore uscente siciliano Nello Musumeci (su cui lo scontro è in corso da settimane) ma ha incassato solo un rinvio a dopo le amministrative. Insufficiente sia perchè prassi nel centrodestra prevede il bis per gli uscenti, sia perchè il personale via libera di Berlusconi ha ceduto di fronte al veto di Salvini.

Proprio questo ha fatto infuriare Meloni, che si sente forte del successo nei sondaggi, e non è piaciuto ai “governisti” di Fi, che hanno letto in questo l’ennesima capitolazione. L’isola ormai è un campo di battaglia per il centrodestra: per un candidato sindaco unitario a Palermo – Francesco Lagalla – ci sono il caso regionali e Sciacca dove Fi non presenterà liste a causa di uno scontro nel centrodestra locale. «Dopo le amministrative faremo il punto», dice un dirigente di Fi. Ma sembra più una resa dei conti, sia tra gli azzurri che dentro l’alleanza.

Tra gli strascichi negativi, la giornata è stata nera anche per il direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, richiamato dai vertici Rai per la sua partecipazione “politica” alla convention di FdI.

 

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