Nemmeno il tempo di assorbire l’urto delle città perse alle amministrative, che è già il momento di sedersi di nuovo intorno a un tavolo per parlare delle candidature alle prossime regionali.

A tentare per l’ennesima volta di riportare la pace nel centrodestra è Silvio Berlusconi: il vecchio leader è pronto a invitare a villa San Martino ad arcore i due litiganti Matteo Salvini e Giorgia Meloni, per rimettere insieme i pezzi della coalizione e risolvere il problema delle candidature per tre regioni chiave collegate una all’altra: Sicilia, Lazio e Lombardia.

Del resto la situazione è agitata e, «a lasciar gestire la coalizione a Meloni e Salvini, si sono sbagliate le strategie di due tornate amministrative su due», è il ragionamento di un dirigente azzurro.

Lombardia

La regione in cui la partita si è inaspettatamente complicata è la Lombardia. Nei giorni scorsi Matteo Salvini ha incontrato con il suo vice Giancarlo Giorgetti e il segretario lombardo il presidente uscente Attilio Fontana, per chiudere sulla sua ricandidatura.

Nella divisione interna la Lombardia spetta alla Lega e la regola è di ricandidare sempre gli uscenti. Formalmente sono tutti d’accordo: il diretto interessato ha detto di essere in campo e di avere il sostegno degli alleati, per lo stato maggiore della Lega si tratta di una «ricandidatura naturale». Tuttavia, in uno schema apparentemente semplice ha fatto irruzione il passo avanti dell’ex sindaca di Milano e vicepresidente della regione con delega al Welfare, Letizia Moratti.

Moratti è politica esperta e non fa passi avanti senza una strategia in mente. In un’intervista a Libero ha ribadito di essere a disposizione e che aspetta «di vedere quali sono le posizioni di tutta la coalizione». Tradotto: la Lega è su Fontana, ma non è detto che alla fine anche gli altri lo siano. A sostenerla si è già fatto avanti Carlo Calenda, ma anche Forza Italia vede in lei la candidata moderata adatta per mantenere al centrodestra una regione che in queste amministrative si è colorata di rosso in quasi tutti i capoluoghi di provincia.

A soffiare sul fuoco ci ha pensato nei giorni scorsi il senatore di FdI, Ignazio La Russa: «Se una persona di così alto standing si propone, è perché crede che ci sia margine», ha detto, esplicitando quello che in molti pensano. Moratti, infatti, ha anche ottimi rapporti con la destra e Fratelli d’Italia ha un obiettivo in mente: gli spettano due grandi regioni e, se non fossero il Lazio e la Sicilia, partirebbe l’assalto della Lombardia.

Lazio

Quella del Lazio è una partita ancora solo abbozzata. Riconquistarlo dopo gli anni a guida del centrosinistra di Nicola Zingaretti è un obiettivo, ma la partita è tutt’altro che semplice. Meloni ha rivendicato il primato sul candidato dall’alto del suo 24 per cento nel Lazio e sta vagliando i nomi spendibili per non sbagliare come ha fatto alle comunali di Roma, in cui l’errore sul candidato – il civico Enrico Michetti – è costato la conquista della Capitale.

Il primo nome a piacere sarebbe quello del deputato e cognato Francesco Lollobrigida, il quale però ha già fatto capire di non volersi impegnare in una partita dalle molte incognite e di preferire il posto accanto alla sua leader nella politica nazionale e magari ad un ministero di peso, in caso di governo del centrodestra.

Nei salotti romani è incredibilmente tornato a girare anche il nome di Michetti: immemore del “Michetti chi” e della figuraccia alle comunali, l’amministrativista è pronto a rimettersi in politica e, secondo una fonte molto vicina a lui, «Enrico sta raccogliendo soldi ed è pronto a correre per la Pisana».

Più realistico, invece, è il nome del manager Andrea Abodi. Legato al patron della Lazio, Claudio Lotito, e presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo, viene descritto da un dirigente locale di FdI come «una persona capace e stimata anche fuori dal centrodestra, che potrebbe essere la carta vincente anche considerati gli esiti degli ultimi ballottaggi». Insomma, un civico d’area che colmerebbe il vuoto di esponenti di partito per FdI, che però continua a confrontarsi con il problema di avere più voti che candidati spedibili.

Sicilia

Il pasticcio maggiore, però, rimane quello in Sicilia. Se per Lazio e Lombardia le elezioni si svolgono a marzo 2023, sull’isola si vota a novembre e il centrodestra locale è ancora agli insulti. Il candidato uscente, Nello Musumeci, aspira alla ricandidatura e formalmente è sostenuto da FdI, a cui si è iscritto. Lega e soprattutto Forza Italia con il coordinatore Gianfranco Miccichè sono contrarissime al suo bis e continuano a ribadire il loro no. Lo stresso Musumeci ha minacciato il passo indietro nella speranza che Meloni lo trattenesse, ma la leader si sta muovendo con cautela. I sondaggi in effetti non favoriscono il governatore uscente e il timore è che, imponendolo, gli alleati sull’isola lo sabotino, anche nell’ottica di indebolire FdI.

Tuttavia La Russa, che sta gestendo la partita siciliana, è abile nel non sbilanciarsi e aspetta. La regola del centrodestra è che ad ogni eletto spettino due mandati e non rispettarla per Musumeci significa mettere in discussione anche altre candidature, prima tra tutte quella di Fontana in Lombardia. Se non fosse Musumeci, FdI può proporre i nomi della fedelissima deputata Carolina Varchi, che aveva già pronti i manifesti da candidata a Palermo ma li ha riposti senza fare una piega quando Meloni ha scelto di convergere su Roberto Lagalla.

In alternativa, ci sarebbe anche l’eurodeputato Raffaele Stancanelli. Oppure ancora, Meloni potrebbe optare per una mossa strategica: convergere su un nome espresso dagli alleati sull’isola (gli uomini più forti sono quelli di Forza Italia) e lasciare a loro l’onere di individuare il candidato. «L’isola è terreno scivoloso e si rischia la sconfitta. Di lì a pochi mesi ci saranno le politiche in cui Meloni farà il pieno di voti: le conviene insistere nel voler proporre un candidato che magari perderà e arrivare alle elezioni indebolita?», ragiona un ex dirigente del centrodestra, che bene conosce le dinamiche della coalizione. 

Di questo soprattutto si parlerà al vertice di Arcore e a dover ricondurre Meloni e Salvini a miti consigli nell’interesse della coalizione dovrà essere il solito Cavaliere, che rischia di essere l’ultima speranza perchè la coalizone non continui con l’autosabotaggio.

 

© Riproduzione riservata