Enigma primarie nel centrosinistra: tutti “disponibili” nessuno le vuole fare

Le vittorie ci sono, i voti pure, manca “solo” la leadership. E la coalizione, certo. Dopo la sbronza delle elezioni regionali di Campania e Puglia, dove Roberto Fico e Antonio Decaro hanno staccato i concorrenti di destra rispettivamente di 528mila e 414mila voti, il campo largo si interroga sui prossimi passi da compiere. All’orizzonte ci sono già le politiche del 2027. L’idea prevalente è che saranno una sfida a due tra Elly Schlein e Giorgia Meloni. Non a caso i giovani di FdI hanno invitato la leader del Pd sul palco di Atreju, la festa che si aprirà il prossimo 6 dicembre. E lei ha subito replicato che accetterà solo se potrà confrontarsi con la premier. Schermaglie che sembrano indizi di una strategia. Certo, Schlein sa che per evitare una replica della débâcle del 2022 il centrosinistra deve arrivare all’appuntamento con un programma e, soprattutto, un candidato premier. Il problema è come sceglierlo. Sulla carta, a oggi, nessuno si oppone alle primarie di coalizione. Ma nei fatti, a nessuno piace questa idea. La sfida di Schlein, costruire l’unità nei «luoghi che non contano» Schlein ha detto nel suo debriefing post regionali che è pronta alle primarie ma anche ad avvalersi di quello che è già stato ribattezzato “lodo centrodestra”: a fare il presidente del Consiglio è il leader del partito che ha preso più voti. Anche Giuseppe Conte, a parole, lascia tutte le strade aperte. Ma l’ex premier ha già subito calato l’asso del «cantiere M5s» per decidere i temi che saranno al centro della prossima campagna elettorale. Quando avrà luogo il confronto con i potenziali alleati? Non prima del prossimo autunno, prevede sempre Conte. Insomma, il discorso sulla coalizione non è una priorità, quello sulla leadership ancora meno. Ritrosia «Sono cose che devono maturare nel momento giusto» dice chi ha avuto modo di confrontarsi con il presidente del Movimento. E poi si vuole arrivare alla trattativa con una lista di temi per cercare di dettare, almeno in parte, l’agenda. L’ipotesi di un confronto interno piace anche parecchio agli scontenti, Chiara Appendino in primis, che ha già espresso apprezzamento pubblico e anche durante l’ultima riunione dei parlamentari. Ma, soprattutto, i vertici del Movimento vogliono sedersi a trattare senza essere già condizionati da un’alleanza di cui non sono ancora convinti e che Conte ha più volte respinto. Senza considerare il fatto che, notano i maliziosi, vincolarsi alle primarie significherebbe compiere già una scelta di campo che in questo momento i Cinque stelle non vogliono fare. Da Zaia a Mastella: alle regionali i leader nelle mani dei portatori di voti Di conseguenza, il Movimento non vuole lasciarsi schiacciare da una discussione – quella su coalizione e leadership – che «appassiona solo i giornali». E che, è il ritornello che ripete l’ex premier ai suoi, dipende anche dalla legge elettorale con cui si andrà al voto. «Finché non conosciamo i dettagli, e per ora la maggioranza non ha nemmeno presentato una proposta, ragionarne è prematuro». Non rassicura l’auspicio di Ignazio La Russa che mercoledì ha chiesto che la riforma sia il frutto di un confronto tra maggioranza e opposizione. Anzi, a via di Campo Marzio si mette già in conto una legge «scritta dal centrodestra per favorire sé stesso, a cui noi non faremo mai da sponda». Partita di scacchi Per non parlare delle dinamiche di scelta del candidato premier. «Conte non ostacola la procedura di selezione del candidato – spiegano ancora i suoi – ma che il Movimento ambisca, come il Pd, a proporre un nome come candidato presidente del Consiglio è cosa buona e giusta». A parte queste due certezze, il resto è una partita a scacchi in cui bisogna prevedere le mosse dell’alleato-avversario. In questo momento, in casa Cinque stelle, sono convinti che, sull’onda dei buoni risultati delle regionali, la minoranza riformista del Pd sia pronta a mettere da parte le proprie perplessità nei confronti della segretaria e a sostenerla in eventuali primarie. Il voto compatto di tutto il Pd, senza diserzioni né candidati alternativi, spazzerebbe via Conte. Uno scenario a cui l’ex presidente del Consiglio non vuole andare incontro. Dal canto suo anche Schlein non ha grandi interessi ad andare alla conta, consapevole che la parte più moderata del partito da tempo sta pensando a come e con chi sostituirla. Nel cerchio magico della segretaria si pensa che i riformisti, al momento, non abbiano intenzione di andare fino in fondo proponendo un candidato alternativo alle primarie di coalizione. I segnali, certamente, vanno in quella direzione. Martedì, alla conferenza stampa di Schlein al Nazareno, c’erano anche i senatori d’area Alessandro Alfieri e Filippo Sensi. Sull’appuntamento di stampo riformista dell’ex sindaco di Prato Matteo Biffoni, in programma per sabato, è calato il silenzio. Anche i progetti di federatori e gambe centriste, da quello di Ernesto Maria Ruffini ai movimenti intorno alla sindaca di Genova, Silvia Salis, per il momento sono ipotesi tutte da esplorare. Mentre Paolo Gentiloni resta una figura, sfocata, sullo sfondo. Meloni vuole il proporzionale, è pronta a cedere la Lombardia alla Lega Insomma, alla fine le primarie rappresentano una complicazione per tutti i protagonisti. A renderle un obbligo potrebbe essere però la riforma elettorale: in una situazione in cui nessuno cerca vincoli di sorta, a mettere d’accordo tutto il centrosinistra potrebbe essere una legge proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione. La destra ha ben presenti le implicazioni di una scelta di questo genere.