L’Arabia Saudita è uno «Stato non democratico, che calpesta i diritti fondamentali», diceva il deputato di Sinistra italiana Nicola Fratoianni.

Era il 2019 – pochi mesi dopo il brutale omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi nell’ambasciata saudita di Istanbul – e si discuteva del fatto che la famiglia reale fosse pronta a investire oltre 15 milioni di euro nel teatro la Scala di Milano con un’operazione inizialmente sostenuta dalla Lega, allora al governo con il Conte 1. Tra le ragioni della contrarietà all’ingresso dei sauditi nella fondazione Fratoianni elencava «le atrocità compiute in Yemen, le ripetute violazioni dei diritti umani quotidianamente calpestati in quel paese, la feroce esecuzione del giornalista Kashoggi, gli arresti delle attiviste per il diritto alla guida, detenute e torturate in carcere». 

Qualche mese prima, nel 2018, era stato il deputato del Pd ed ex ministro dello Sport, Luca Lotti, a stigmatizzare la decisione della Lega di Serie A di far disputare la finale di Supercoppa a Riad. «La terrificante notizia della morte orrenda del giornalista Khashoggi lascia attoniti. La comunità civile internazionale deve far sentire la propria voce, a tutti i livelli. Credo che anche il mondo dello sport italiano non possa e non debba tirarsi indietro», aveva scritto su Facebook, chiedendo che la lega Calcio riconsiderasse la decisione di giocare in Arabia Saudita «per evitare che il calcio italiano scriva una pagina di rifiuto nella difesa dei valori e dei diritti».

Proprio questo post era stato pubblicato anche su Twitter e ricondiviso centinaia di volte dagli utenti. Tra i quali anche tre ex parlamentari del Pd e attuali membri di Italia Viva: Raffaella Paita, Francesco Bonifazi e Luciano Nobili. Addirittura, Nobili aveva ricondiviso il tweet e aggiunto: «Ha ragione Luca Lotti. Dopo la morte di Khashoggi la comunità internazionale non può restare indifferenze. E lo sport non può difendere libertà e democrazia. Mi associo al suo appello: la Supercoppa italiana non si giochi in Arabia Saudita». In quel caso, l’indignazione riguardava il fatto che un evento calcistico italiano si svolgesse all’estero, in un paese responsabile dell’omicidio Khashoggi, dove i diritti umani non sono rispettati e non esiste uguaglianza di genere, con il divieto dello stadio alle donne.

Alla fine, i sauditi non sono entrati nella fondazione la Scala perchè il consiglio di amministrazione ha bloccato l’operazione, restituendo i 3 milioni di acconto già versati. La partita di Supercoppa, invece, è stata giocata in Arabia Saudita sia nel 2018 che nel 2019, nel rispetto di un accordo con il paese mediorientale che prevede che Riad sia l’organizzatore di tre finali in cinque anni.

La stessa indignazione, invece, non è seguita alla notizia – pubblicata Domani – che il senatore e leader di Italia Viva, Matteo Renzi, attuale membro della commissione Esteri della Camera, partecipi come conferenziere alla cosiddetta “Davos del deserto”, dietro compenso pagato proprio dal principe saudita Mohammad bin Salman. Durante l’evento, registrato in tutta fretta per permettere a Renzi di rientrare in Italia in tempo per partecipare alle consultazioni dopo che il suo partito ha aperto la crisi di governo, l’ex premier definisce il paese arabo «culla del nuovo Rinascimento». 

Cercati da Domani, nè Fratoianni di Sinistra italiana, nè Luciano Nobili di Italia Viva hanno risposto. Anche Luca Lotti del Partito democratico ha scelto di non intervenire sulla polemica attuale ma ha specificato che, nel merito dello specifico caso sportivo della Supercoppa, conferma i giudizi scritti nel suo post di Facebook del 2018.

Il silenzio della politica

Certo questa è una fase politica concitata ma soprattutto delicata. Sono in corso le consultazioni del presidente della Camera, Roberto Fico, per verificare le condizioni per la nascita di un nuovo esecutivo dopo la crisi del Conte bis. Dopo aver riscontrato in parlamento che i numeri per un governo senza Italia viva non ci sono, al tavolo della trattativa siedono anche i rappresentanti renziani Maria Elena Boschi e Davide Faraone. Dunque, sui rapporti tra il leader Renzi e i sauditi sembra essere calata una impenetrabile cortina di silenzio. Se ad attaccare l’ex premier e il suo partito fossero le stesse forze politiche sedute al tavolo, infatti, si rischierebbe di far saltare il dialogo. Anche lo stesso Movimento 5 Stelle è rimasto in silenzio sullo specifico caso di Renzi, nonostante sul blog di Beppe Grillo risalgano al 2015 i primi post contro la vendita delle armi da parte dell’Italia all’Arabia Saudita. Una vendita bloccata proprio nei giorni scorsi e resa nota dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio che lo ha definito «un chiaro messaggio di pace che arriva dal nostro Paese. Il rispetto dei diritti umani è un impegno per noi inderogabile». Eppure, un solo grillino, Pino Cabras, ha sollevato la questione di Renzi a Riad con una interrogazione parlamentare.

«Io prendo l'impegno, pronto a discutere con i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull'Arabia Saudita, del futuro della Pace di Abramo, del Medio Oriente, degli accordi di Alula, di tutto; ma lo facciamo la settimana dopo la fine della crisi di governo», ha detto lo stesso Renzi in un video.

Insomma, la priorità va alla crisi politica in corso, provocata dallo strappo della stessa Italia Viva e che potrebbe concludersi con un semplice rimpasto di governo di cui Iv continuerebbe a fare parte.

Viene da chiedersi, però, se sarà l’esito di questa trattativa a determinare (o meno) una presa di posizione da parte del mondo politico sull’opportunità che un senatore in carica ed ex primo ministro “sponsorizzi” un paese straniero, per di più con un presente tutt’altro che specchiato sul fronte del rispetto dei diritti umani.

 

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