M5s, Appendino si dimette: si apre una crepa nel monolite di Conte

Chiara Appendino non è più vicepresidente del M5s. L’annuncio è arrivato durante il Consiglio nazionale di ieri mattina, ma l’ex sindaca di Torino aveva già ipotizzato il passo indietro nei giorni scorsi durante l’assemblea congiunta dopo il risultato disastroso delle regionali in Toscana. Nonostante la vittoria del candidato del campo largo, Eugenio Giani, i Cinque stelle avevano portato a casa un misero 4,3 per cento, in calo rispetto alle precedenti regionali, quando il Movimento correva solo. Dopo le sconfitte in Calabria (con un proprio candidato presidente, Pasquale Tridico) e Marche, un terzo risultato discutibile. Una manovra senza rete. E Conte “solletica” Salvini Appendino aveva sottolineato la necessità di rimettersi in discussione, di discutere di temi e alleanze. E aveva minacciato le dimissioni. I successivi incontri con i big del partito e una conversazione telefonica con Giuseppe Conte, che non avrebbe però dato segnali di apertura, hanno portato al passo indietro di ieri. Dopotutto, con altre due elezioni regionali alle porte - una, in Campania, in cui è candidato il M5s Roberto Fico – l’ex premier non è ovviamente disponibile a riconsiderare la sua strategia. L’uscita di una serie di interviste “difensive” di esponenti vicini al leader, è stata letta come un segnale della sua volontà di non mettersi in discussione. Mentre il gruppo vicino all’ex sindaca le ha interpretate come un tentativo di intimidazione, non dissimile da certe pratiche del passato utilizzate per tacitare il dissenso interno. Ora la prospettiva è che Conte, dopo essere stato rieletto leader (è il solo candidato), scelga qualcun altro al posto di Appendino, magari il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri o la deputata Vittoria Baldino (quasi candidata in Calabria), due nomi a lui molto vicini. Le prospettive Appendino, invece, avrà mani libere per costruire una fronda interna formata da chi, soprattutto sul territorio, non riesce a mandar giù l’alleanza stabile con il Pd. Dal suo punto di vista, la scelta di Conte di stringersi in un cerchio ancora più stretto, chiamare sé un altro nome fidato, appare come una prova di fragilità, anche considerato che le elezioni politico si avvicinano. Effettivamente, nel primo giro di nomine dei vicepresidenti, Conte aveva tenuto conto delle diverse anime del partito, che si è poi progressivamente uniformato alla sua linea. Altra questione cruciale, le deroghe, la freccia più affilata all’arco dell’ex premier: il destino di parlamentari e consiglieri regionali continua infatti a essere appeso alla volontà del presidente del Movimento. Bettini: «Per il Pd non c’è un’alternativa a Conte. Schlein? Brava, ma bisogna allargare» Le ultime regionali sono state una prima volta. «E i parlamentari alla prima legislatura non conoscono ancora quell’ansia tipica di quando bisogna essere ricandidati» racconta un ex parlamentare. A quel punto, è il ragionamento, il “corteggiamento” al presidente conta più di tutto il resto. La scelta di Appendino può essere vista da due punti di vista: da un lato Conte potrebbe scegliere di lasciare del tutto fuori dal novero dei “salvati” dalla deroga i futuri membri della corrente della sindaca, dall’altro, potrebbe accettare – dice chi conosce bene i meccanismi che regolano la vita interna del M5s – di lasciarla crescere, almeno un po’, anche per invertire la narrazione di chi considera i Cinque stelle un partito-monolite. Una prospettiva su cui contano gli appendiniani, nella speranza che in futuro il manuale Cencelli possa essere applicato anche per quanto riguarda incarichi interni ed esterni al partito. Insomma, una scommessa, per Appendino stessa e per chi sceglierà di affiancarla se il suo peso dovesse crescere. Lei nel frattempo, in un lungo post su Facebook, parla di una scelta «difficile», «fatta per amore» della sua casa politica. «Dopo l’ennesimo risultato deludente alle regionali – scrive – non possiamo continuare a dirci che è tutto normale e che va tutto bene. Il problema non è fuori da noi. Il problema è nella nostra identità, nella direzione politica, nel modo in cui stiamo parlando – o non parlando – al paese». «La nostra sfida – aggiunge – non può essere snaturarci per conquistare qualche posto di potere in più. La nostra sfida è riconquistare la fiducia di chi non vota più, di chi ha smesso di credere che la politica possa servire a qualcosa». Per poi concludere: «Viva il Movimento 5 stelle!». Campo largo, un’alleanza a perdere. Per Schlein e Conte un bagno di realtà Insomma una critica diretta a Conte. Ma anche una scelta precisa. A differenza di Luigi Di Maio, Appendino non uscirà dal Movimento. L’autodistruzione dell’allora ministro degli Esteri ha fatto scuola, e l’ex sindaca non vuole ripetere lo stesso errore. Toninelli per Appendino Meglio piuttosto poter commentare dall’interno. Per altro, con un coro di ex che comincia già a farsi avanti per sostenere la sindaca. Tra i primi, l’ex ministro Danilo Toninelli: «Il gesto di Appendino arriva tardi, ma conferma che qualcosa dentro il M5s si è rotto e che molti non si riconoscono più nel progetto personale di Conte». A seguire anche il piemontese Alberto Airola, già senatore e molto critico sulla riproposizione di Stefano Lo Russo come candidato sindaco alle prossime amministrative torinesi. «Abbiamo combattuto il sistema che adesso dovremmo accettare come alleato, io per primo e il nostro elettorato non accetteremo questi compagni di viaggio» scrive su Facebook. Giovani e con Berlinguer nel cuore, Conte si è creato il suo piccolo “esercito” M5s