Il risultato delle elezioni del 25 settembre con la sconfitta del Pd e il conseguente passo indietro del suo segretario Enrico Letta, ha riaperto il non nuovo dibattito su natura, storia e prospettive del partito. Molte e contrastanti sono state le proposte avanzate: dal “semplice” cambio del segretario nel segno di una sostanziale continuità, allo scioglimento, da una revisione programmatica, al congresso ricostituente. E molte sono state le cause individuate di una sconfitta che, come i dati mostrano con chiarezza, viene da lontano e non può essere vista come un episodico passo falso. 

Una delle motivazioni che spesso viene indicata per spiegare i deludenti risultati elettorali è la perdita di contatto con gli elettori dai quali il Pd si sarebbe progressivamente allontanato asserragliandosi nelle ztl dei centri storici delle grandi città. 

Di qui l’invito, o se non altro il proposito, a tornare sul territorio, per recuperare il contatto e il dialogo con ampie fasce di italiani che, pur rientrando per condizioni sociali, economiche e culturali fra gli elettori naturali del Pd, non lo ritengono più in grado di rappresentare i loro interessi.

Le primarie dell’Unione

L’ultima estesa azione di mobilitazione della base e dei territori fatta a sinistra risale al 2005 con le primarie dell’Unione, coalizione politica che andava dall’Udeur di Clemente Mastella a Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti, passando per Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), Antonio di Pietro (Italia dei valori) fino a Simona Panzino, candidata alle primarie come rappresentante dell’area no global e dei centri sociali, i cosiddetti “invisibili”. Quella mobilitazione, e quella coalizione ampia, è stata la premessa della vittoria elettorale del 2006 e ha fatto da incubatrice alla nascita, due anni dopo, del Partito democratico.

Il rapporto con il territorio e il radicamento dei partiti ha rappresentato per la politica novecentesca un requisito essenziale e vincente. Ma è ancora così strategico e, soprattutto, esistono ancora dei territori con cui relazionarsi? O l’idea di un’area geopolitica quale privilegiato e naturale scenario di azione del partito appartiene a un’epoca e a un modello di società ormai tramontate?

Alla ripresa del libero confronto democratico, nel 1945, il Pci aveva lanciato lo slogan “una sezione per ogni campanile” che, nella sua immediatezza, aveva guidato lo spirito e la direzione della macchina organizzativa del partito, all’epoca diretta da Pietro Secchia.

Solo un partito radicato e presente in maniera capillare poteva ambire a essere competitivo e a guidare il paese. È il modello di partito a integrazione di massa, basato su una diffusa organizzazione burocratica e una struttura piramidale che dai vertici nazionali si allarga a dirigenti, funzionari, militanti, iscritti, simpatizzanti, elettori, che tramite cellule, sezioni, circoli, agisce sul territorio.

Il partito a integrazione di massa

Un modello al quale anche la Dc si è ispirata sotto la guida di Amintore Fanfani, eletto segretario nel 1954 dopo il fallimento della legge maggioritaria alle elezioni dell’anno precedente. Fino ad allora il partito aveva supplito a questa mancanza di capillarità grazie all’utilizzo collaterale delle organizzazioni cattoliche presenti nella società, nelle diocesi e nelle parrocchie.

In un epoca in cui i partiti, in mancanza di un moderno sistema dell’informazione che si sarebbe sviluppato solo in seguito, potevano contare per diffondere la loro voce e le loro proposte unicamente sulle proprie forze, la presenza sul territorio era un requisito fondamentale per la loro stessa esistenza.

Da allora il modello partito si è evoluto in diverse formule in sintonia con i principali cambiamenti sociali. Dal partito pigliatutto (Kircheimer), al partito professionale-elettorale (Panebianco), dal partito medium (Marletti), al partito personale (Calise), sino a quello post burocratico (Bimber), tutti caratterizzati dal progressivo smantellamento dell’organizzazione, da nuovi modelli di distribuzione dalla comunicazione, da differenti reti di relazioni.

Se dunque è possibile ritenere il progressivo disarmo dai territori e la conseguente perdita di contatto con gli elettori tra le principali cause della sconfitta e del fallimento del Pd, il caso di Fratelli d’Italia, e non solo, invita quantomeno a riconsiderare il peso e l’attualità di queste variabili.  

Fratelli d’Italia e M5s

La struttura organizzativa e di conseguenza la presenza sul territorio di Fratelli d’Italia, partito fondato nel 2012 e che alle elezioni politiche del 2018 ha raccolto il 4,3 per cento dei consensi, è minima se non pari a zero. Il suo successo elettorale e la sua capacità di interpretare il sentimento del 26 per cento degli elettori che l’hanno votato alle recenti elezioni non deriva dunque da una sua presenza o vicinanza con gli elettori.

Analogo discorso vale per il Movimento 5 stelle, i cui nuclei originali, i meet-up, già si caratterizzavano per l’uso della rete e ambivano al modello di partito digitale (Gerbaudo), presente e diffuso online, senza sedi e senza sezioni, al punto che a lungo il M5s è stato privo di una sede nazionale.

Eppure questo partito de-territorializzato ha ottenuto alle elezioni del 2013 il 25,5 per cento e in quelle successive del 2018 ben il 32,6 per cento. Un altro esempio? Quando nel 2013 Matteo Salvini ha assunto la segreteria della Lega nord – quello sì un partito che faceva del radicamento territoriale un tratto politico e organizzativo insostituibile – lo ha trasformato in un partito nazionale, rinunciando all’originale istanza federalista.

Nell’arco di pochi anni la Lega per Salvini premier si è diffusa in tutta Italia, ottenendo alle elezioni politiche del 2018 il 17,4 per cento e alle europee del 2019 il record del 34,2 per cento, risultante di un 40 per cento nell’Italia nord, del 23,5 per cento nel Sud e del 22,5 per cento nelle isole. Anche in questo caso difficile pensare che un consenso di tali dimensioni sia il frutto di una presenza e di un radicamento territoriali.  

La presenza territoriale e la contiguità fisica con gli elettori non costituiscono più da tempo requisiti fondamentali per il successo di un partito politico. Anche perché, a differenza di un’epoca in cui la struttura sociale e la sua mappa territoriale erano in gran parte determinati dal lavoro e dal reddito, i territori della modernità sono sempre più la risultante di una molteplicità di realtà, situazioni, culture, sovrapposte, non facilmente distinguibili, spesso contraddittorie e, per questo, sempre meno interpretabili sulla base di variabili sociali, economiche, politiche.

L’incrocio proposto in questi giorni da molti analisti fra il voto ai partiti e le classi d’età, le fasce di reddito, le professioni, le zone di residenza, ha fornito interessanti occasioni di riflessione in tal senso. È il risultato di una trasformazione profonda delle società moderne, già registrata sul finire degli anni Ottanta dal mondo della pubblicità commerciale e del marketing, che colgono come i comportamenti e i desideri delle persone sono sempre meno orientati e omogenei rispetto alle loro classi sociali e ai territori d’appartenenza.

Platform society

Nell’attuale platform society (van Dijck et. al.), definizione che ben sottolinea il ruolo assunto dai social network e dalle piattaforme partecipative nell’influenzare aspetti strutturali delle società moderne, si parla di identità online, di individualismo reticolare, di smaterializzazione dei processi di lavoro e dei luoghi di aggregazione. Le identità e le appartenenze non solo prescindono dai territori ma anche da quelle che una volta si sarebbero chiamate le condizioni materiali di vita.

Tornando alla politica e ai successi registrati da alcuni partiti nelle elezioni degli ultimi anni, questi sembrano dipendere più che da una quotidiana pratica di ascolto e di presenza sui territori, dalla capacità di intercettare e proporsi quali rappresentanti di sentimenti, idealità, stati d’animo, interessi. Un’azione per la quale un ruolo rilevante ha la comunicazione.

I territori importanti da rifrequentare e presidiare per la politica e, in particolare, per il Pd sono sempre meno spazi fisici e reali e sempre più luoghi simbolici e immateriali, dove si creano e si consolidano identità e appartenenze e dove si aggrega una volatile opinione pubblica. A patto di elaborarne gli strumenti e le categorie per interpretarli e dialogare con loro.

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