Nel momento in cui conquiste sociali e diritti civili sembrano essere rimessi in discussione cade un anniversario storico che segnò un vero spartiacque nella storia recente. Sul divorzio, il 12 maggio 1974 si fronteggiarono un’Italia clericale e tradizionalista e una moderna, laica, progressista
Sul tema del divorzio e nella campagna elettorale, il 12 maggio 1974 si fronteggiarono un Italia bigotta, clericale e tradizionalista ed una moderna, laica, progressista.
Dopo una campagna elettorale aspra ma anche molto creativa, il 59,26% degli elettori votò contro l’abrogazione della legge sul divorzio approvata nel 1970. Una maggioranza che si manifestò anche in regioni quali la Sardegna, la Sicilia, la Campania, considerate a torto più tradizionaliste e conservatrici e che vide un apporto determinante del voto delle donne, un milione e mezzo in più degli uomini.
Un cambiamento epocale, che capitalizzò i profondi cambiamenti avvenuti in Italia negli anni precedenti nel campo della famiglia, dei diritti, della cittadinanza, che nello sguardo visionario di Pier Paolo Pasolini, era anche il portato della secolarizzazione e delle trasformazioni introdotte dal consumismo e dalla modernità.
Nel bene, o nel male, l’Italia era cambiata. Rivolgersi ai suoi abitanti, soprattutto alle donne, facendo leva sulla paura, la preoccupazione, il pericolo, i toni che nel 1948 si erano rivelati vincenti, fu un grave errore. Iniziava la stagione delle conquiste civili ma anche una nuova pagina della storia d’Italia.
Nel momento in cui conquiste sociali e diritti civili dati acquisiti sembrano essere rimessi in discussione cade un anniversario storico che segnò un vero e proprio spartiacque nella recente storia d’Italia. Il 12 maggio del 1974 era una domenica; allora come oggi. In quel giorno festivo e il lunedì successivo di 50 anni fa 33 milioni di italiani e italiane si recarono in massa a votare (87,7 per cento) al primo referendum abrogativo nella storia della Repubblica italiana, convocato in seguito a



