A chiunque lo si chieda, nel Movimento 5 Stelle la risposta è sempre la stessa: «Di Quirinale si parla dopo le amministrative di ottobre».

Del resto, il partito è un cantiere aperto dopo la separazione burrascosa dalla Casaleggio Associati. Il suo leader, Giuseppe Conte, è impegnato in un tour per l’Italia e non ha ancora messo mano alla riorganizzazione dei ruoli direttivi interni. Febbraio 2022 è politicamente troppo lontano per fare previsioni che reggano e la necessità immediata è quella di attutire il contraccolpo negativo che si preannuncia con l’esito delle comunali.

Per ora, dunque, i capannelli in parlamento si formano e le chiacchiere non mancano anche con i colleghi del Partito democratico, ma nessun parlamentare Cinque stelle è pronto a ragionare per davvero. A diretta richiesta, l’unica cauta risposta è quella che ricalca la posizione espressa da Conte durante l’intervista con Lucia Annunziata a Ceglie Messapica: «Se il presidente della Repubblica accettasse, il Mattarella bis sarebbe la soluzione più auspicabile». Almeno per ora, aggiunge qualcun altro.

Il Mattarella bis

Certamente si tratta della soluzione politica più facile. Anche il Pd lavora nella stessa direzione, quindi così si consoliderebbe l’alleanza; inoltre avrebbe il pregio di non far vacillare la solidità dell’attuale governo e quindi la legislatura.

Sul fronte dei parlamentari non solo Cinque stelle, infatti, la paura è una sola: il salto nel buio di uno scioglimento anticipato delle camere. Che, all’interno del Movimento, significherebbe un nuovo armageddon: la corsa dei parlamentari con già due mandati alle spalle per ottenere la possibilità di ricandidarsi, ma soprattutto la certezza che quel 32 per cento del 2018 non sia che un ricordo. In sintesi, aggiungendo all’equazione anche il taglio del numero dei parlamentari i conti sono chiari: torna in parlamento un parlamentare Cinque stelle su tre. Meglio allora procrastinare il più possibile il voto, nella speranza che la leadership di Conte si solidifichi e magari aiuti a crescere nei sondaggi.

Il ragionamento, quindi, è speculare a quello del Pd: è preferibile mantenere ferma la situazione attuale, che garantisce tutti ed evita brutte sorprese.

Del resto, il contesto fluido nel Movimento non permette di guardare oltre al domani. «Sul bis di Mattarella è possibile trovare l’accordo, ma parlare di altri nomi è impossibile: nella confusione in cui si trovano, si scatenerebbero faide interne», riassume con concretezza un deputato del Pd con fama di essere tra i più dialoganti con la sponda grillina.

In realtà, esiste anche un’altra strada. È più impervia e richiederebbe maggiore strategia politica per essere portata a compimento, ma Conte potrebbe ragionare anche di Mario Draghi al Quirinale.

Per il neo leader del Movimento questa soluzione produrrebbe almeno a due risultati positivi: liberare palazzo Chigi da un presidente del consiglio che preferisce confrontarsi con il suo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e con cui Conte non è mai riuscito a costruire una solida linea di dialogo; tornare al voto sì con meno consensi nei sondaggi ma con la possibilità di riscrivere le liste a sua immagine e somiglianza, completando la transizione dei Cinque stelle in un partito davvero nuovo.

Perchè questa ipotesi possa essere presa in considerazione, tuttavia, sarebbe necessario il no irrevocabile di Mattarella al bis e una manifestazione di interesse da parte di Draghi. Inoltre, rimarrebbe lo scoglio probabilmente insormontabile dei parlamentari, tutt’altro che propensi a votare l’inevitabile scioglimento delle camere.

Il ruolo di Di Maio

Ancora incerto è anche il ruolo che Luigi Di Maio vuole giocare nella scelta del nuovo presidente. Per ora, il ministro degli Esteri sarebbe concentrato sul suo lavoro alla Farnesina e poco propenso a fare la guerra, anche solo sotterranea, a Conte. Parlando coi suoi si allinea all’auspicio pubblico di Conte per un Mattarella bis, che gli assicura di rimanere ministro e tranquillizzerebbe i gruppi parlamentari.

La questione, tuttavia, riguarda chi dei due big del Movimento – se Conte o Di Maio – saranno i registi dell’operazione Quirinale. Sulla carta dovrebbe essere Conte, che però è alle prese su moltissimi fronti: la difficile campagna elettorale alle amministrative e il probabile esito negativo, le casse quasi vuote del partito e una nuova struttura interna tutta ancora da mettere in piedi con figure di sua fiducia. Nella pratica, invece, Di Maio si trova in posizione nettamente avvantaggiata: il suo ruolo al governo gli permette di sentire gli spifferi che vengono da palazzo Chigi e le ambizioni quirinalizie di Draghi, ma anche di interloquire in modo diretto coi colleghi degli altri partiti di maggioranza con cui inevitabilmente bisognerà coordinare la strategia, soprattutto se Mattarella rinuncerà al bis.

L’elezione del presidente della Repubblica è la più imponderabile perchè si gioca a carte coperte: senza candidati pubblici, con voto segreto e con un collegio allargato ai delegati regionali. La sfida nei giorni cruciali, allora, si svolgerà tutta in aula e negli incontri tra i gruppi a cui ad oggi Conte, non essendo stato eletto in parlamento, non potrà partecipare. A differenza di Di Maio, che presidierà sia l’aula che i corridoi della Camera.

Per Conte, l’ultimo biglietto per prendere parte all’assemblea in seduta comune di febbraio passa per la sconfitta del Movimento 5 Stelle a Roma: se il deputato dem Roberto Gualtieri diventasse il nuovo sindaco della Capitale, libererebbe il collegio di Roma centro. Un seggio sicuro - a differenza di quello di Primavalle dove Conte ha rinunciato a candidarsi - che il Pd potrebbe regalare al leader grillino per consolidare l’alleanza. Anche in questo caso, però, i se e i forse sono ancora troppi per azzardare pronostici.

Ad oggi, l’unica cosa certa sono le parole pubbliche di Conte: «Un nuovo mandato a Mattarella? Lo vedrei benissimo».

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