Guido Crosetto ha tentato a correggere la narrativa, pubblicando sui suoi social il grafico che mostra come il centrodestra abbia vinto in 58 dei 142 comuni maggiori, migliorando di 4 rispetto alla situazione del 2017, mentre il centrosinistra si sia fermato a 53, perdendone 3. Giorgia Meloni ha provato a fargli eco: «Se la sinistra è così convinta di aver vinto, allora non avrà problemi a tornare subito alle elezioni politiche per confrontarsi».

In politica, però, c’è una regola non scritta: se bisogna spiegare di aver vinto, significa che vittoria non è stata.

Alcune città pesano più di altre nell’analisi del voto e tutti e tre i partiti di centrodestra hanno dovuto gestire i loro personali insuccessi. Giorgia Meloni aveva puntato tutto su Verona, dove il candidato uscente Federico Sboarina, fresco iscritto di Fratelli d’Italia, ha pagato con la sconfitta la decisione – sembra su indicazione del governatore veneto Luca Zaia – di non apparentarsi con l’ex leghista Flavio Tosi. La Lega di Matteo Salvini ha perso Alessandria, la città del suo capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. Anche Monza ha tradito Forza Italia, dopo che Silvio Berlusconi aveva portato la squadra di calcio in serie A.

La ripartizione delle città era avvenuta con grande fatica e numerosi tavoli di coalizione, esattamente come durante le fallimentari comunali dell’autunno, e il nuovo esito negativo evidenzia che qualcosa si è irrimediabilmente rotto nell’alleanza di centrodestra ed è necessario trovare il modo di correggere la rotta per non compromettere il futuro. Le comunali non sono le politiche ed è impossibile parlare di rimonta del centrosinistra, tuttavia, i segnali d’allarme preoccupano soprattutto quella che si considera la nuova leader naturale dell’alleanza.

L’irritazione di Meloni

«Basta litigi, a partire della Sicilia, non possiamo rischiare di mettere a repentaglio il risultato delle politiche. Chiederò a Salvini e Berlusconi di vederci il prima possibile per evitare ulteriori divisioni», ha detto Meloni, che non ha nascosto l’irritazione nei confronti di Salvini, che in una intervista alla Stampa aveva definito «uno sbaglio clamoroso» la decisione di Sboarina di non allearsi con Tosi. La leader di FdI l’ha considerato un vero e proprio boicottaggio a urne aperte ed intende farlo pesare al prossimo vertice urgente, a cui il leader leghista ha subito risposto positivamente. 

«Anche domani», ha detto col tono di chi non ritiene di essere dalla parte del torto. La lettura di Salvini, infatti, è che la debacle sia da ascriversi alle spinte di FdI: «Non è possibile perdere in città importanti perché il centrodestra si divide e sceglie di non allargarsi e di includere altre forze ed energie, per paura, per calcolo o per interesse di parte», ha detto riferendosi a Verona ma anche alle altre 15 città in cui l’alleanza si è divisa al primo turno.

Le grane di Salvini

Il leader leghista, però, in questo momento ha un altro grosso problema in vista. La sconfitta di Verona ridimensiona FdI ma è anche la miccia che rischia di far saltare il Veneto, regione culla della Lega e da tempo insofferente nei confronti del segretario. Se prima gli attacchi arrivavano coperti dall’anonimato, ora i critici parlano con nome e cognome. 

«Sono mancate le giuste valutazioni. Sapevamo e i dati sono stati confermati che tra Padova e Verona avremmo raccolto il 6 o il 7 per cento, una perdita di consenso pesantissima», ha detto all’Ansa l’europarlamentare veneto Gianantonio Da Re, che ha chiesto «un'assemblea della Lega in Veneto con Matteo Salvini e gli altri di via Bellerio che vengano a parlarci di futuro» e ha intimato la discesa in campo di Zaia, che «non è solo amministratore ma anche un politico e visto quanto accade deve fare la sua parte e non nascondersi».

Il momento della resa dei conti interna alla Lega, quindi, potrebbe essere alle porte.

La preoccupazione del Cav

Se il Veneto è in subbuglio, Salvini è intervenuto per riprendere in mano la situazione in Lombardia. Il nodo è la ricandidatura di Attilio Fontana alla guida della regione, da blindare il prima possibile per evitare che anche quel posto entri tra le incognite future con Meloni. «Fontana è il candidato naturale», viene fatto trapelare dopo un incontro del segretario con Fontana, insieme al ministro dello Sviluppo economico e visegretario leghista Giancarlo Giorgetti e al segretario regionale Fabrizio Cecchetti.

Manca solo l’ufficialità, quindi, per spegnere definitivamente le ambizioni dell’azzurra Letizia Moratti, chiamata in giunta come vicepresidente nel 2021, la quale ha ribadito di «essere a disposizione, ma decideranno i partiti».

Intanto, Silvio Berlusconi ha convocato un vertice d’urgenza nella sua villa di Arcore con lo stato maggiore del suo partito. Il tradimento di Monza è stato un colpo per il leader, che in città si era speso in prima persona e avrebbe commentato con un laconico «lasciamo perdere». Poi, in un video messaggio, ha analizzato il voto dicendo che «nessuno ha vinto, ha perso la democrazia» a causa dell’astensionismo, ma «la coalizione del centrodestra vince solo quando è unita. Le divisioni degli ultimi mesi hanno allontanato molti elettori».

Poi ha aggiunto che promuoverà lui stesso «un confronto approfondito con i nostri alleati». Forza Italia, infatti, ha vissuto come uno sgarbo personale il no di Sboarina a Tosi, che da poco si è iscritto al partito e che FI ha sostenuto al primo turno. In questo clima, l’auspicio di Meloni di sospendere le liti sembra un miraggio.

 

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