La mutazione del Movimento 5 stelle in partito si è ufficialmente compiuta. I militanti hanno votato il finanziamento tramite il 2 per mille, la forma di elargizione pubblica alle forze politiche che ha sostituito i rimborsi elettorali, approvando la linea indicata dal capo politico, Giuseppe Conte, e violando un dogma della prima èra del Movimento.

Hanno votato sulla piattaforma Cinque stelle 34mila persone e il sì ha ottenuto il 72 per cento dei voti. Solo il 28 per cento è rimasto fedele alla vecchia linea di Beppe Grillo, quella della politica a costo zero e senza finanziamento ai partiti.

Conte esulta dopo due ore di spoglio (procedura non rapidissima per una consultazione online) e ricorda che «ha votato sì la stragrande maggioranza» degli iscritti. «Se la accettiamo, è questo il principio della democrazia diretta», ha aggiunto.

Il voto segna una trasfigurazione epocale, un cambio di pelle che potrebbe non essere indolore. Tutto è iniziato con la parlamentarizzazione del Movimento, nel 2013, e con la diatriba sulle partecipazioni in tv e sulla stampa; poi sono arrivate le collaborazioni con i partiti storicamente «morti», per dirla con Beppe Grillo, che nel nuovo corso del M5s sono diventati alleati di governo.

Prima la Lega, poi il Pd e ora tutti insieme anche con il nemico della prima ora, Silvio Berlusconi. L’ultimo tassello era la normalizzazione delle forme di finanziamento.

I soldi scarseggiano

Le casse del Movimento 5 stelle languono, i parlamentari restituiscono sempre meno e in ordine sparso, e il partito immaginato da Conte (con una struttura light ma con vicepresidenti e sede ufficiale a Roma) ha dei costi che non sono affrontabili con la stessa spensieratezza dei banchetti e degli dei meet up delle origini.

Il nuovo corso dettato dalla salita di Conte alla guida del partito è diviso sì in correnti, ma anche in gruppi e gruppetti che si sfaldano e si ricompongono, difficili da seguire e individuare, e che covano critiche nei confronti del capo politico meno amato di sempre.

I malumori

Nonostante la prevalenza di consensi dalla base, il malumore non viene sottaciuto tra i parlamentari. Primo Di Nicola, ex giornalista dell’Espresso e battitore libero nelle frange del Movimento, dice di «rispettare» la decisione della maggioranza dei votanti ma per «una questione così cruciale, un voto così importante» era necessario «un dibattito più approfondito».

Per il senatore Vincenzo Presutto il voto addirittura «viola uno dei principi identitari più forti del M5s, uno dei valori fondanti, voluto da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio, che ha decretato il successo politico del Movimento fino a ora».

L’idea che il denaro pubblico dovesse restare lontano dalla politica «è sempre stata apprezzata dai cittadini», ha aggiunto al termine della votazione.

Il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, più vicino al ministro degli Esteri Luigi Di Maio che non a Conte, è altrettanto severo: «Sono scettico sul prendere il 2 per mille per il Movimento. È una misura chiesta dalla base tante volte», ma secondo il deputato «il rischio è che il finanziamento che ne consegue sia esiguo e limitato rispetto a togliere un caposaldo di non finanziamento pubblico del Movimento».

Dopo il voto arriva lo sfottò del senatore del Partito democratico Andrea Marcucci, che su Twitter scrive: «Il sì al 2 per mille è una buona notizia, il M5s si è trasformato in partito tradizionale».

E dopo questo passo sarà complicato per tutto il Movimento raccontare la diversità che lo distingue dagli altri gruppi politici, coloro che non si siedono alla tavola dei soldi pubblici. O per lo meno finanziati con il meccanismo della cessione di una quota dell’Irpef durante la dichiarazione dei redditi.

Il fondatore non perdona

Insieme al nuovo regime di finanziamento, i militanti hanno deciso che i soldi provenienti dalle restituzioni mensili dei parlamentari, circa 4 milioni di euro, saranno devoluti in percentuale differente ai progetti di ricerca del Cnr, a Emergency, a Medici senza frontiere, alla Lega del filo d’oro, all’Anpas, a Nove onlus emergenza Afghanistan e infine al gruppo Abele onlus.

Nel frattempo Grillo rimane in silenzio. Una calma che fa più rumore di qualsiasi tweet o video urlato a squarciagola e che racconta una contrarietà netta per questo passo verso la partitizzazione del Movimento, cosa che probabilmente Grillo non perdonerà mai a Conte.

«Ho preso atto di una richiesta che era sul tavolo da tempo e ho ritenuto giusto che fosse discussa nei gruppi e anche votata», ha detto il capo politico mettendo le mani avanti.

Le casse del Movimento si stanno svuotando, quelle dei parlamentari soprattutto, tenendo conto che le restituzioni non vanno granché e si deve fare di necessità virtù: c’è in vista una campagna elettorale, quella che prenderà piede al termine della legislatura, e va costruita una struttura di partito, a partire dall’elezione dei vicepresidenti. Trasformarsi in un partito costa.

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