Il Comitato esecutivo che vorrebbe istituire il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è una struttura senza precedenti, sia dal punto di vista della mole di compiti da portare a termine (e delle risorse destinate), che della modalità di lavoro e di controllo. Di fatto punta a commissariare i singoli ministeri per accentrare tutto in un nucleo esterno che risponde solo alla presidenza del Consiglio che lo ha costituito. La parola chiave è deroga.

Il suo funzionamento, per come illustrato nella proposta di Conte, scavalca tutte le regole grazie al fatto di essere disciplinata con lo strumento del Dpcm, l’atto amministrativo a disposizione del presidente del Consiglio, che in questa fase di crisi è diventato la bacchetta magica con la quale scavalcare ogni ostacolo in funzione della celerità e urgenza. I cosiddetti “responsabili di missione”, scelti dal presidente del Consiglio, potranno poi dotarsi di un organico scelto sia dentro che fuori l’amministrazione pubblica. Quanto al controllo, il Dpcm supera sia quello parlamentare che quello preventivo del presidente della Repubblica.

Proprio questa sostituzione rispetto ai ministeri è la vera novità voluta da Conte. Negli anni lo scontro tra le burocrazie ministeriali e quella di palazzo Chigi è sempre stato forte, ma nessuno si era mai azzardato a ipotizzare di scavalcare del tutto i dicasteri.

Il "giglio magico” di Renzi

Il principale oppositore della linea Conte è l’ex primo ministro Matteo Renzi. Le ministre di Italia viva, Teresa Bellanova e Elena Bonetti hanno minacciato le dimissioni se l’iniziativa andasse in porto e il partito ha fatto capire di essere pronto ad aprire una crisi. Eppure la critica di eccessivo accentramento di funzioni su palazzo Chigi era stata mossa anche a Renzi. All’epoca – era il 2015 – l’allora premier era stato accusato di aver fatto calare da Firenze il suo “giglio magico”: una schiera di trenta-quarantenni di stretta fede renziana, legati a lui dai tempi in cui era sindaco di Firenze, che si erano insediati in alcuni posti chiave nei palazzi del potere, con l’intento di costruire una rete di fiducia che fosse riferita a palazzo Chigi.

La più nota era Antonella Manzione, ex capo dei vigili urbani di Firenze insediata a capo dell’Ufficio legislativo di palazzo Chigi (da lì è poi arrivata al Consiglio di stato). Il meccanismo, tuttavia, è quello storico dello spoil sistem: alla presidenza del Consiglio spettano alcune nomine chiave e ogni primo ministro tenta di costruire una filiera che risponda direttamente a lui, ben sapendo però che entrerà in rotta con le burocrazie ministeriali.

L’unica iniziativa di Renzi che esulava dalla prassi era stata l’istituzione di due unità di missione, entrambe però con un obiettivo specifico: una sull’edilizia scolastica, l’altra sul dissesto idrogeologico. Entrambe avevano un obiettivo chiaro e circoscritto sotto la direzione della presidenza del Consiglio, entrambe sono state soppresse e riassorbite nei ministeri dopo l’addio di Renzi a palazzo Chigi. Nessuna delle due, per dimensioni e compiti, può essere paragonata al comitato esecutivo di Conte. Renzi, infatti, non ha creato strutture autonome, ma potenziato alcune autorità già esistenti ma in disarmo. L’esempio è quello dell’Anac, l’autorità anticorruzione, preesistente ma poco sfruttata: Renzi l’ha affidata a Raffaele Cantone e ne ha fatto uno degli strumenti vetrina della sua presidenza.

Il modello Protezione civile

Anche Silvio Berlusconi, durante il suo secondo governo, aveva creato una struttura che rispondeva solo alla presidenza del Consiglio, ma sempre intervenendo su una istituzione già esistente e dunque già incardinata nella burocrazia statale. Non creandone una nuova. Nel settembre 2001, a pochi mesi dall’insediamento, aveva fatto approvare un decreto legge che riportava le competenze dello stato in materia di Protezione civile in capo al presidente del Consiglio ricreando il dipartimento della Protezione civile che, nel 1999, era stato sostituito dall’Agenzia di Protezione civile. Il capo del dipartimento aveva funzioni di coordinamento operativo di tutti gli enti pubblici e privati nella gestione delle emergenze ma soprattutto aveva competenza sui cosiddetti “grandi eventi”: per tutti gli eventi straordinari, dichiarati tali dallo stesso governo, diventava possibile usare il potere di ordinanza (come per lo stato di emergenza), derogando alle norme ordinarie. In questo modo, Berlusconi aveva espanso i compiti della Protezione civile fino a farla diventare una stazione pubblica appaltante in deroga a tutte le procedure ordinarie.

A capo della struttura il premier aveva collocato il super tecnico Guido Bertolaso che si è mosso per costruire una macchina rodata e autonoma (e anche al centro di indagini giudiziarie, come quella sul G8 della Maddalena) a disposizione della presidenza del Consiglio. Proprio questo modello, soprannominato “metodo Bertolaso”, è quanto di più somigliante al comitato esecutivo che avrebbe in mente Conte.

La bozza presentata in Consiglio dei ministri, infatti, dà potere ai “responsabili di missione” di comportarsi in modo simile alla Protezione civile: in caso di ritardi, possono emanare ordinanze per snellire gli iter con l’unico limite della legge penale.

Con una differenza sostanziale, però: i poteri eccezionali della Protezione civile possono essere attivati in casi circoscritti – i grandi eventi – o calamità naturali. I supermanager di Conte, invece, potrebbero agire in questo modo con una discrezionalità molto maggiore, vista anche la portata amplissima dei loro compiti. L’altra differenza è il fatto che la struttura immaginata da Conte dovrebbe essere temporanea. A differenza della Protezione civile, infatti, dovrebbe funzionare come una sorta di entità commissariale, attiva per il tempo necessario a portare a termine il compito (visto che tutti i contratti stipulati dovrebbero essere a tempo determinato). In questo caso, però, il tempo rischia di essere molto: la previsione è che il piano Next generation Eu venga portato a compimento del 2026. Anni chiave, che dovrebbero modificare in modo strutturale, svecchiandola, la macchina burocratica dell’Italia.

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