Dal Conte ter al Conte zero in pochi minuti, e nei palazzi è subito sarabanda, talvolta panico puro. Non solo nelle segreterie del Pd e del Movimento 5 stelle, ma pure negli uffici di palazzo Chigi, nelle agenzie dello stato, e in tutti gli angoli dove il partito dei contiani aveva costruito il suo fortino, sicuri che l’avvocato del popolo avrebbe retto l’urto anche stavolta. Invece no. A differenza del metodi salviniani del Papeete, la mossa del cavallo tentata da Matteo Renzi ha portato davvero allo scacco improvviso. E ai margini dalla partita del potere è finito non solo il re di Volturara Appula, che ora sta studiando con Beppe Grillo e big grillini ogni strategia possibile per evitare la dissoluzione rapida del suo breve regno. Ma tutta la sua corte di pedoni, alti dirigenti e civil servant fulminati sulla via del giurista pugliese che adesso rischiano di perdere tutto: onori, poltrone, benefit.

Qualcuno potrebbe invero sopravvivere allo tsunami, ma la caduta potrebbe essere dolorosa per coloro che stanno più in alto. In cima della piramide c’è Rocco Casalino, che vede compromesso (forse per sempre) il ruolo di onnipotente Rasputin. Il consigliere personale e gran regista di veline alla stampa, è il principale artefice del successo mediatico del premier dimissionario. Ora dovrà non solo rimandare sine die il suo libro di memorie (Il portavoce, Piemme), ma anche scervellarsi per capire come tenere in piedi la sua rete d’influenza, in modo da preservare almeno un pezzo della sua autorità aspettando tempi migliori.

Il suo terrore è che Conte s’arrenda e torni a fare il professore a Firenze: per l’ex Grande fratello sarebbe difficile assai tornare tra i gerarchi pentastellati, visti i pessimi rapporti sia con i gruppi parlamentari sia quelli con Luigi Di Maio e altri big. Rocco spera dunque che il sodale Giuseppe provi a conquistarsi la guida del M5s o di almeno una sua corrente, in maggioranza o all’opposizione importa poco. In caso contrario la decadenza sarà repentina.

I pretoriani

Del gruppetto di pretoriani che circonda l’allievo di Guido Alpa, il tecnico Roberto Chieppa difficilmente resterà (dovesse Mario Draghi riuscire a ottenere la fiducia) segretario generale a palazzo Chigi. Riservato e scontroso, rischia il posto non perché non sia un tecnico capace e trasversalmente stimato, ma perché il banchiere ha già comunicato urbi et orbi che porterà negli uffici solo persone di cui si fida ciecamente. Sorte simile per Alessandro Goracci, capo di gabinetto ed astro nascente del contismo, che qualcuno ha annoverato nei scorsi giorni tra registi della campagna acquisti dei presunti “responsabili”. Idem per lo sconosciuto ma fidatissimo Ermanno Di Francisco, capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, dove è stata disegnata la serie infinita dei Dpcm sul coronavirus tanto criticata da Sabino Cassese e altri costituzionalisti.

Degli uomini del cerchio magico uno dei pochi a scendere su terre sicure prima del naufragio è stato Carlo Massagli, il consigliere militare di Conte diventato qualche giorno fa vicedirettore dell’Aise: da plenipotenziario del premier nell’agenzia di sicurezza, però, ora conterà assai meno di quanto aveva previsto. In equilibrio instabile è pure Pietro Benassi, ambasciatore di lungo corso che ha ottenuto da pochissimo l’autorità delegata sui nostri servizi segreti. Non è affatto detto che il nuovo presidente del Consiglio incaricato (avessero successo le consultazioni) lo confermi nell’incarico. Anzi: se Renzi, la Lega e Forza Italia entrassero in maggioranza, il suo siluramento è più che probabile. Nei corridoi della Farnesina, dove regna Elisabetta Belloni, assai stimata dal Quirinale, non si strapperebbero i capelli.

«Conte era niente e nel niente ritornerà», ribadisce chi scommette su un Draghi in carica subito ed elezioni tra due anni e mezzo, un arco di tempo che logorerebbe le ambizioni del professionista prestato alla politica. Fosse vero il presagio, i pochi pretoriani che il giurista ha ammesso nella stanza dei bottoni seguiranno allora il medesimo destino. Il generale di divisione Gennaro Vecchione, capo del Dis (l’ufficio che coordina i nostri servizi) e ascoltato consigliere è stato appena confermato, ma l’uscita di scena del padrino non gli dà alcuna garanzia di concludere il suo mandato alla scadenza naturale: troppo inviso all’interno dei comparti dell’intelligence per via del Russiagate, troppi avversari dentro Italia viva e Lega. Potrebbe reggere invece Giuseppe Busia, ex segretario generale della Privacy che – tra lo sconcerto di molti – Conte ha voluto piazzare all’Anac, l’autorità anticorruzione: non perché uno come Draghi possa davvero apprezzarne il curriculum insufficiente al compito, ma perché da tempo l’organismo fino al 2019 guidato da Raffaele Cantone non è più per i partiti quel fondamentale bastione della legalità creato dal governo Monti.

Senza potere

I contiani, se i tentativi di bloccare l’ascesa di Draghi o di piazzare il capo alla guida del movimento falliranno, avranno poche sponde nel nuovo mondo. E non potranno fare affidamento né sulla presunta rete vaticana di Villa Nazareth (Conte conosceva bene solo lo scomparso cardinale Achille Silvestrini, e l’amicizia blanda con Pietro Parolin è del tutto ininfluente) né su quella di Alpa. Perché al di là delle ricostruzioni dei giornali delle ultime settimane, il maestro e l’allievo prediletto nell’ultimo anno si sono molto allontanati, tanto che Conte a Natale non è nemmeno andato a trovare l’anziano dante causa. Ha pesato la vicenda del concorso alla Sapienza, pare, un pasticcio che ha convinto il premier uscente a diradare i rapporti con Alpa, Luca Di Donna e altri amici del vecchio giro universitario. Ma senza la copertura di palazzo Chigi anche Domenico Arcuri esce indebolito dalla crisi. Draghi, dovesse diventare premier, nel bel mezzo della pandemia forse non sostituirà il commissario all’emergenza Covid-19. Ma ne controllerà da vicino ogni mossa, chiedendo di concordare decisioni che finora il numero uno di Invitalia ha preso, di fatto, in solitaria: meticoloso ai limiti della pedanteria, l’ex Goldman Sachs non apprezza sbavature su siringhe e vaccini, polemiche su inutili banchi a rotelle, inchieste della magistratura su trafficanti di mascherine.

Arcuri non verrà neanche promosso, come Conte gli aveva promesso, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti. In realtà tra Rai, Ferrovie, Leonardo (dove Alessandro Profumo resta in bilico) l’intera battaglia sulle nomine nelle partecipate di stato, dove molti candidati contiani venivano dati per favoriti, vedrà un ribaltamento delle posizioni di partenza. Nulla è deciso, ma una cosa è certa: chi fino a ieri compulsava i cellulari chiedendo udienze ai Conte boys, sta già cercando i recapiti di coloro che – salvo nuovi colpi di scena sempre possibili nei palazzi italici – tra qualche giorno meneranno le danze.

 

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