Salvini contro Meloni sul ddl Consenso: una mossa politica dietro i dubbi tecnici

Nessuno, in effetti, ha mai creduto che si trattasse solo di un rinvio per un surplus di riflessione. Il disegno di legge per introdurre la nozione di consenso nel reato di violenza sessuale è stato infine stoppato da Matteo Salvini, dopo che la presidente della commissione Giustizia al Senato, Giulia Bongiorno, si era già incaricata di rallentarne l’iter. Se lei aveva scelto di sollevare obiezioni tecniche, parlando della necessità di precisazioni, il segretario della Lega ha invece usato la mannaia. Secondo lui il testo lascerebbe spazio a «interpretazioni» e «vendette personali». A rischio sarebbero «migliaia di esposti usati per ritorsione» e «bisogna evitare di esporre chiunque a chi si vuole vendicare di un rapporto finito male». Alla Zanzara ha aggiunto: «Noi siamo per la castrazione chimica», ma «mi sembra evidente che il consenso attuale e libero sia una follia», sostenendo di aver saputo del ddl «due giorni fa», perché lui da senatore non avrebbe seguito l’iter alla Camera. «L’unica prevenzione alla violenza patriarcale è l’educazione sessuo-affettiva»: la lezione collettiva di Non una di meno Gli effetti politici Al netto della supposizione sulle vendette – che sembra dimenticare il ruolo del tribunale e delle indagini – la sintesi politica è netta. Sull’onda del successo elettorale in Veneto e annusato il nervosismo di FdI, che si è precipitato a parlare di riforma della legge elettorale, Salvini ha scelto di affondare il colpo dove sapeva che a Giorgia Meloni avrebbe fatto più male. Alla premier sono sempre piaciute le ricorrenze: dopo il 1° maggio coi provvedimenti sul lavoro, il 25 novembre doveva toccare alla legge sul femminicidio e al ddl sul consenso, su cui si era impegnata in un accordo con Elly Schlein. È stata l’occasione perfetta per Salvini: sabotare un testo su cui la premier aveva dato la sua parola. Per farlo si è fatto scudo delle obiezioni tecniche di Bongiorno, ma introducendo il concetto di potenziale vendetta delle donne sugli uomini sapeva di solleticare quell’elettorato di destra più refrattario a leggi che considera derive “woke”. L’affondo è stato ben assestato: in questo modo la legge slitterà almeno di alcuni mesi, visto che verranno fatte nuove audizioni al Senato e poi, una volta modificato e votato il testo (chissà se sempre all’unanimità), questo dovrà ritornare alla Camera. Un’altalena che certamente finirà in coda alla legge di Bilancio. Non solo. Così ha aizzato contro la premier anche la rabbia delle opposizioni e soprattutto del Pd, che su un terreno delicato come quello della violenza sulle donne si era fidato della mano tesa di Meloni. Il capogruppo al Senato Francesco Boccia, che ha chiesto «chiarezza, perché non possiamo giocare. Non è accettabile per noi che la legge venga svuotata e smontata, smentendo di fatto anche la premier». È bastata l’uscita di Salvini per dare il via alle molte voci critiche di destra, che fino a questo momento erano rimaste silenti. A lui si è unita la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, che ha sollevato perplessità sul «rischio di rovesciamento dell’onere della prova». Ddl consenso, ora la destra frena. Carfagna: «Un déjà vu, ma sono ottimista» Le questioni tecniche In realtà non è esattamente così. Anche senza la precisazione sulla necessità di «consenso libero e attuale» nel rapporto sessuale, altrimenti si tratta di violenza (punita con una pena da 6 a 12 anni), già oggi la giurisprudenza è costante nel ritenere il consenso il metro di valutazione per verificare la presenza o meno di una violenza sessuale. Un consenso per cui non basta la testimonianza della vittima, ma servono riscontri e analisi delle circostanze. L’obiettivo del ddl è di eliminare la cosiddetta vittimizzazione secondaria: chiedere alla vittima per esempio come era vestita o se aveva avuto atteggiamenti ammiccanti, per dimostrare l’errore di valutazione dell’imputato. Alleanza e premiership ad andamento lento, Schlein fa una mossa Un articolo del codice, poi, non sposta sull’imputato quello che è il compito dell’accusa durante il dibattimento: l’onere della prova spetta sempre al pm, che dovrà dimostrare che l’imputato non ha avuto il consenso di agire. Prima ancora, spetta al pm anche svolgere le indagini preliminari a tutto tondo per capire se il consenso c’è stato e, sulla base di ciò che risulta, procedere con la richiesta di rinvio a giudizio o archiviazione. L’imputato, invece, dovrà difendersi instillando il ragionevole dubbio che il consenso ci sia stato e proprio questo è anche oggi l’aspetto più delicato dei processi per violenza sessuale, con o senza la norma sul consenso. Tra paure e convinzioni, il grido della piazza femminista di Roma: «Sabotiamo guerre e patriarcato» A sollevare dubbi però è anche l’ex presidente delle Camere penali, Giandomenico Caiazza, secondo cui – con il ddl, che lui definisce «inaccettabile» – l’imputato dovrà dimostrare che il consenso c’era, «ed è impossibile, non c’è lo strumento per provarlo». Mentre per la denunciante non sarà più richiesto «un elemento di riscontro di ciò che dice, ma solo la sua valutazione». Di parere opposto il presidente del tribunale di Milano, Fabio Roia, secondo cui ogni valutazione e onere della prova spetterà comunque «al pm». Su altro un punto, invece, hanno battuto sia Bongiorno sia i senatori e avvocati Erika Stefani (Lega), Pierantonio Zanettin (FI) e Gianni Beririno (FdI). Il terzo comma dell’articolo 609 bis, infatti, prevede che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita». Questo comma era già presente e non è stato introdotto dal ddl, tuttavia – hanno obiettato i senatori di centrodestra – con l’occasione andrebbe precisato perché «cosa si intende per minore gravità?». Questa potrebbe essere l’unica modifica. Nordio spiega i femminicidi: «È tutta colpa della genetica» «La legge si farà, escludo categoricamente che ci sia una volontà di affossarla», ha spiegato Bongiorno. Se così fosse, tutto potrebbe risolversi in una specificazione del terzo comma, fatta con un breve ciclo di audizioni di «soli tecnici» e il testo pronto tra gennaio e febbraio. Le parole di Salvini, però, minacciano di andare in altra direzione. Spetterà a Meloni appianare le divergenze – finora inespresse – nella sua maggioranza. «Solo sì è sì», c’è l’accordo. Ma per un uomo su quattro la violenza è normale Lo stupro e il consenso, l’Italia è inadempiente. Ecco come funziona in Ue