Pieno centro a Milano, un uomo viene fermato, la pistola puntata alla tempia. Spinto contro l’auto, immobilizzato, perquisito. Indossa una maglietta verde, simile a quella di un ricercato per sparatoria. Soprattutto è nero. Ma non è lui il sospettato. L’uomo è Tiémoué Bakayoko, centrocampista del Milan. Le scuse arrivano solo dopo, quando viene riconosciuto. Secondo fonti riservate, questo episodio, avvenuto nel luglio del 2022, è uno dei tanti segnalati all’European Commission against Racism and Intolerance (Ecri), la commissione del Consiglio d’Europa contro il razzismo e l’intolleranza, come caso emblematico di profilazione razziale.

Il tema di come prevenire la profilazione razziale è al centro del rapporto annuale 2024 che la Commissione ha pubblicato mercoledì 28 maggio. Prima di allora, lo scorso ottobre, nel report dedicato all’Italia, l’Ecri aveva chiesto «uno studio indipendente per verificare l’esistenza e l’estensione del fenomeno della profilazione razziale da parte delle forze di polizia».

La posizione italiana

Nel documento annuale non si fa espressa menzione dell’Italia ma mercoledì, come era già accaduto in precedenza, la premier Giorgia Meloni ne ha approfittato per definire il rapporto «vergognoso» e «ideologico», ricordando «gli agenti aggrediti da immigrati irregolari mentre svolgono il loro lavoro».

Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, lo ha giudicato «sorprendente e inaccettabile». Il vicepremier Antonio Tajani ha parlato di «osservazioni astruse». La Lega ha chiesto apertamente di sciogliere il Consiglio d’Europa. E il 10 giugno la Camera discuterà una mozione di FdI proprio sul rapporto Ecri. 

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha convocato il capo della polizia, Vittorio Pisani, per «riconfermare la stima e la fiducia nelle forze dell’ordine». Ma nel comunicato non compare alcun riferimento alla profilazione o alla richiesta dell’Ecri. Anche i sindacati di polizia hanno respinto le accuse. «Parlare di profilazione razziale è un insulto agli agenti», ha detto Fabio Conestà, segretario generale del sindacato Mosap. 

I dati

Secondo l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra), in Italia il 25 per cento delle persone nere ha dichiarato di essere stato fermato dalla polizia negli ultimi 5 anni. Il 58 per cento ritiene che il fermo sia stato motivato dal colore della pelle. Nel 24 per cento dei casi, si tratta di controlli ripetuti. Nel 2024 anche gli esperti di giustizia razziale dell’Onu hanno segnalato all’Italia questioni legate alla profilazione razziale.

A questi dati si sommano le segnalazioni ricevute dall’Ecri da parte di enti del terzo settore, tra cui Arci e Amnesty international. Tutti indicano come prassi ripetute, in alcuni territori, i controlli a campione su base etnica o religiosa, spesso non registrati formalmente. È un rapporto qualitativo, non quantitativo, fanno sapere dalla Commissione. Tenuto conto che le persone razzializzate, di seconda generazione, quando subiscono profilazione non si rivolgono alla giustizia perché lo stato le ha già tradite due volte.

«Anziché usare toni di scherno, i rappresentanti istituzionali italiani dovrebbero mostrare rispetto per chi si occupa di diritti umani», dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia. «La profilazione razziale esiste. Colpisce persone vulnerabili, non cittadine, appartenenti a minoranze. È una presunzione di colpevolezza in base all’aspetto. Ed è una violazione dei diritti da affrontare, non da negare».

Il metodo di lavoro

Il Consiglio d’Europa redige questi rapporti periodici incontrando autorità, osservatori e società civile. Le raccomandazioni sono indirizzate a tutti i 46 stati membri. E l’Italia, a oggi, non ha ancora adottato un Piano nazionale contro razzismo, xenofobia e intolleranza, né ha rafforzato l’autonomia dell’Unar, l’ufficio antidiscriminazioni razziali.

Come spiega bene a Domani Trianda Loukarelis, già presidente del Comitato direttivo antidiscriminazione, diversità e inclusione del Consiglio d’Europa: «Il nostro paese da tempo ha preso impegni pubblici importanti sul fronte dei diritti umani. Tra questi: l’istituzione di un organismo indipendente in materia e l’adozione di un piano nazionale contro razzismo, xenofobia e intolleranza. L’ultimo piano è scaduto nel 2016 e, nonostante la Commissione europea abbia chiesto a tutti gli Stati membri di dotarsene, l’Italia è rimasta indietro».

L’iter per elaborarlo risale a 5 anni fa e da tre è chiuso nel cassetto del dipartimento guidato della ministra Eugenia Roccella. «Questo piano — spiega Loukarelis — era fondamentale anche perché prevedeva un capitolo dedicato alla profilazione etnica e razziale, fenomeno che esiste e va affrontato senza negazionismi. Non si tratta di dire che le forze dell’ordine siano razziste, ma di riconoscere che c’è un problema. Servono campagne di formazione nelle forze dell’ordine. Un paese maturo non ha paura di parlare di profilazione razziale: lavora per prevenirla».

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