Giuseppe Conte ha replicato all’inchiesta di Domani in merito ai suoi affari e alle consulenze segrete da centinaia di migliaia di euro con la società Acqua Marcia e con l’hotel Molino Stucky con una lunga lettera su Facebook. L’ex premier e capo in pectore del M5s lamenta come diffamatori «titolo» e «passaggi interni dell’articolo», senza tuttavia smentire nulla dei suoi incarichi e contratti. Poi aggiunge: «L’avvocato civilista non fa affari, tantomeno segreti, ma svolge attività professionale, tra cui consulenze e pareri legali, rispettando la riservatezza dei propri assistiti». Conte non è più un semplice legale da tre anni, ma un ex premier e il capo in pectore del più importante partito della maggioranza. Dunque che un giornale si occupi di consulenze e business di un politico di primo piano non è solo è lecito, ma doveroso.

La versione di Conte

Conte su Facebook nega nuovamente (avevamo già riportato nell’articolo le sue smentite) le affermazioni di Piero Amara, un imprenditore-corruttore di giudici che – in alcune dichiarazioni rilasciate ai magistrati di Milano e finite ora a Perugia – ha detto di aver «raccomandato» anni fa l’ex premier, il suo maestro Guido Alpa ed Enrico Caratozzolo, a Fabrizo Centofanti, allora potente legale di Acqua Marcia. Il lobbista ha assunto i tre avvocati nel 2012 e nel 2013 per consulenze legali in merito al piano di ristrutturazione del debito e del concordato preventivo dell’impero immobiliare che è stato di Francesco Bellavista Caltagirone.

Non dubitiamo che Conte (e gli altri avvocati citati dal “facilitatore” Amara) non sappia nulla di presunte raccomandazioni, nel caso avvenute a sua insaputa: già ieri l’ex premier ci aveva chiarito che potrebbe sporgere querela per calunnia contro quelli che ritiene suoi diffamatori.

Le carte trovate da Domani non sono state però smentite dall’ex presidente del Consiglio. Conte conferma che Centofanti (oggi indagato per una presunta corruzione in atti giudiziari insieme a Luca Palamara, ndr) nel 2012 gli ha mandato una lettera d’incarico da 150mila euro. Mentre da visure camerali è sicuro che nel cda della controllata per cui Conte doveva fare pareri legali (la Acquamare) in quel periodo sedeva Amara in persona.

Al netto dei soldi ottenuti da Centofanti e dai commissari del concordato, è però l’operazione Molino Stucky a far sorgere qualche interrogativo. Il Molino Stucky è infatti un albergo extralusso che Bellavista Caltagirone possedeva sull’isola della Giudecca. Secondo stime prudenziali del concordato valeva circa 300 milioni di euro ed era controllato una società di Acqua Marcia (la Ghms srl), finita anch’essa in concordato preventivo. E Conte ci ha detto di aver fatto la valutazione «sull’intero gruppo».

L’affare del Molino Stucky

Un anno e mezzo dopo aver lavorato al concordato Acqua Marcia e fatturato per la spa di Bellavista, l’ex premier ha preso però un altro incarico da un gruppo pugliese guidato da Leonardo Marseglia che nel 2015 ha assunto Conte per lavorare all’operazione finanziaria che gli porterà in dote il Molino Stucky: invece di essere messo all’asta al prezzo indicato dal piano concordatario come inizialmente previsto, dopo l’ok dei giudici e dei creditori l’hotel è finito a Marseglia. Un impresario specializzato in olio d’oliva che grazie all’expertise di Conte ha battuto fondi asiatici e americani, riuscendo a comprarsi i crediti delle banche (280 milioni) a circa la metà (145 milioni), di cui 25 di risorse proprie e il resto finanziato dagli stessi istituti di credito.

«Un’operazione complessa e brillante» ci dice Conte. Che non ricorda quanto ha fatturato al cliente a cui ha fatto fare l’affare del secolo: «Un milione di euro? Molto meno: non ero venale con i miei clienti».

I legami con il condannato

Domani però ha scoperto che il professore di diritto privato non è stato l’unico consigliere di Marseglia nell’operazione Molino Stucky. Conte ha lavorato con Arcangelo Taddeo.

Un architetto pugliese, già tecnico comunale del comune di Carovigno, che è finito anni fa in grossi guai giudiziari per il fallimento della grande Compagnia italiana turismo, società di cui era diventato nel 2005 amministrazione delegato.

Taddeo, quando lavorava all’operazione Stucky con Conte, era stato da poco condannato in primo grado a 17 anni di carcere per bancarotta fraudolenta. «Sì, sapevo al tempo che Taddeo aveva un contenzioso pesante con Cit. Ma io ero il legale di Marseglia, Taddeo era solo il consulente scelto da Marseglia, non da me. Dovevo per principio evitare di lavorare all’operazione Molino Stucky con un condannato in bancarotta? Scusi, ma quindi un avvocato smette di fare l’avvocato?», dice Conte a Domani. «È sicuro la sentenza di Taddeo sia passato in giudicato? Quell’impianto accusatorio era davvero molto discutibile».

Abbiamo contattato gli uffici del commissario della Cit, che ci hanno spedito la sentenza definitiva della condanna penale di Taddeo, passata in giudicato nel 2017. Gli anni di carcere comminati dai giudici della Cassazione sono scesi – dopo l’appello – a sette, ma i reati sono gravi: bancarotta fraudolenta aggravata e associazione a delinquere. Anche Milena Gabanelli ed esponenti del M5s come Elio Lannutti, nel 2012, avevano denunciato le azioni di Taddeo in inchieste tv e interrogazioni parlamentari.

Conte risulta essere infatti stato avvocato di Taddeo ancora nel 2018: un breve articolo di Repubblica di luglio di quell’anno informava che l’avvocato foggiano aveva perso una causa nella quale assisteva Taddeo in persona che pretendeva «un risarcimento di 9 milioni di euro» per presunti danni provocati a lui e alla Cit. Una causa che l’ex premier e il suo cliente ormai pregiudicato hanno perso: «Il tribunale civile di Venezia – scriveva Repubblica – ha condannato Taddeo a rifondere le spese legali alle altre parti: 360mila euro».

 

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