Alle cinque del pomeriggio, quando il Senato fa la pausa per le sanificazioni dell’aula, le agenzie avvertono: «Pontieri al lavoro su un gruppo al Senato, si tratta con cinque FI, tre Iv e un Udc». Alla fine i voti sulla fiducia arrivano: il senatore Ciampolillo dice sì fuori tempo massimo, con lui sono 156 sì, comunque meno del previsto.

La nottata del governo Conte bis non è passata, è appena iniziata. Un ministro dem scrolla la testa: «È solo la fine del primo tempo». Il secondo prevede che tutte le promesse che il premier Conte ha sparso ad ampie manate fra Camera e Senato per portare a casa una maggioranza, vengano onorate. Un gruppo parlamentare che faccia riferimento a Conte non arriverà (sarebbe una sfida a M5s), la legge proporzionale non arriverà prima di fine legislatura.

Nel pomeriggio Matteo Renzi, alla buvette, ne ha per tutti: «Zingaretti? Voleva un nuovo governo poi ha cambiato idea. Io all’opposizione mi diverto. Farò da ago della bilancia su tutto. Conferenza dei capigruppo, aula, commissioni». «Il gruppo non salta. Ne perdo tre o quattro, anche alla Camera. Ma qui non gli conviene, al misto sarei il più grande sottogruppo, chiederei per Bellanova il posto della De Petris». Il socialista Riccardo Nencini se ne va da Iv per un posto da sottosegretario? «No, da ministro. Me lo ha detto. Ma quanti posti devono dare? A lui, al Maie alla Binetti al Pd? E quanti posti hanno?». «Sono mesi che chiedo a Conte di fare un governo di alto profilo e mi risponde offrendo poltrone. Alla Boschi la giustizia. A me “vuoi l’Onu?”. Guarda che è la Nato, comunque no grazie».

Dopo poco prende la parola in aula. Elenca le ragioni della crisi (Mes, scuola, vaccini), in sostanza una: le dimissioni di Conte. «C’è bisogno un governo più forte», «Lei ha avuto paura di salire al Quirinale». Iv si astiene, è fuori dalla maggioranza. Ma il gruppo traballa, la sua astensione è decisiva.

Il leader Iv ha sbagliato molte mosse, e ha anche fatto crescere Conte nei sondaggi: ha scommesso di essere indispensabile alla maggioranza e gli è andata male. Ora scommette sul potere di veto nelle commissioni, alla Camera per esempio. Alla Affari costituzionali (dove c’è la legge elettorale) e alla Giustizia (riforma del codice penale). Ma il Pd ha riportato all’ovile due peones, Rostan e De Filippo, così cambiano i pesi. E tuttavia il voto consegna a Renzi una soddisfazione.

Al Senato Conte ripete l’appello alle «forze parlamentari volenterose» europeiste e ai singoli «socialisti, popolari e liberali». Vola alto, «la politica è uno strumento per ricomporre i conflitti della società», poi si schianta nel pallottoliere: «I numeri sono importanti, ma di più lo è la qualità del progetto politico». Eccola, la qualità: parla di vaccinazioni perché è argomento caro all’incerto ex M5s De Falco (voterà sì, nessuno gli ha offerto nulla ma la maggioranza ha approvato una mozione sul tema), parla di crisi demografica come le aveva chiesto un’altra incerta ex M5s, Elena Drago (voterà no). Chiama un lungo applauso al giudice Borsellino per tentare l’ex M5S Michele Giarrusso (no). Ci prova persino con Gaetano Quagliariello (no) che aveva parlato di «annessione della maggioranza», «no», giura, «vi chiediamo di aderire a un progetto aperto a chi vuole miglioralo». Un passaggio anche per Nencini (assente) che gli ha detto: «Valuteremo, finora l’abbiamo sostenuta da apolidi, senza incarichi». A buon intenditor.

Crisi a metà

I voti ci sono, dal Colle non sono filtrate obiezioni. Del resto la «crisi» formalmente non c’è: se Conte non si dimette, e Iv non farà mancare i voti nei provvedimenti, uno straccio di maggioranza resta in piedi. Ma il vallo del senato è più duro per il premier. Il senatore Pier Ferdinando Casini (vota sì) lo bacchetta «il trionfalismo di chi si accontenta del pallottoliere», «non si può andare avanti zoppicando». L’ex premier Lamberto Dini (vota sì) gli chiede «di parlare un linguaggio di verità». Emma Bonino (vota no) ricorda il dirigente comunista Emanuele Macaluso scomparso nella notte (per lui un lungo applauso dell’aula) e critica il Recovery plan, «Next Generation non è next election».

La pesca a strascico dei voti va avanti fino all’ultima parola: si capisce che non tutto va bene. Prima del voto Conte è confuso e dimentica di porre la questione di fiducia, la presidente Casellati deve richiamarlo. Matteo Salvini scatena la bagarre: ma da oggi in poi non è dalla vecchia opposizione che il premier deve guardarsi, ma dalla nuova maggioranza.

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