«Mi auguro non ci sia un Papeete natalizio perché il paese non ne ha bisogno, se succedesse dovremmo utilizzare la legge elettorale che c’è», avvisa il vicesegretario dem Andrea Orlando, dando del Salvini a Matteo Renzi e agitando la minaccia di un voto con l’attuale ipermaggioritario che certo non dà una mano a un partito stimato al due per cento come Italia viva. Dopo aver fatto un passo avanti nelle critiche al premier Giuseppe Conte sulla scarsa collegialità, il Pd ne fa due indietro. Si dissocia dai metodi di Renzi, lo lascia solo in prima linea, anzi lo attacca. Un’avvisaglia c’era già stata giovedì, ma il cambio di marcia è arrivato ieri dopo che, dalle colonne del quotidiano spagnolo El Pais, il leader di Iv ha intimato all’inquilino di palazzo Chigi di «fermarsi, scusarsi e ricominciare». «Parole assolutamente sbagliate» per Orlando, «Nessuno deve chiedere marcia indietro a nessuno», secondo il segretario Pd Nicola Zingaretti.

«Parole smodate»

Per i gusti del Partito democratico, Renzi è andato troppo avanti. Il suo è un avviso di sfratto al premier, con accuse di «improvvisazione», e l’aggiunta di un’allusione all’esistenza di una maggioranza per sostituire Giuseppe Conte. Allusione che indirettamente smentisce la propensione, attribuita al Colle, di andare al voto anticipato in caso di inciampo del governo. Renzi non la vede così: «In Italia il sistema prevede che il presidente della Repubblica debba verificare se i numeri esistono in Parlamento per formare un altro governo. E se si trovano, si fa», altrimenti, ma solo in questo caso, «si va alle elezioni».

Conte, che ha letto l’intervista a Bruxelles dove era impegnato al Consiglio europeo nella trattativa sul Recovery fund, l’ha interpretata per quello che era: uno sgarbo esibito, intempestivo, uno smacco alla sua credibilità di leader di fronte ai colleghi di tutta Europa. «Ci sono delle istanze molto critiche, dobbiamo capire cosa nascondono, quali obiettivi», replica piccato in una conferenza stampa, «Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, ci confronteremo con le singole forze politiche e poi collettivamente. Cercheremo di capire che fondamento hanno questo critiche e che istanze rappresentano. Il paese merita risposte», «Serve trasparenza. È chiaro che dobbiamo dimostrare di essere all’altezza ma dobbiamo già dimostrarlo nelle convinzioni, nei toni, per farlo non ci dobbiamo nascondere». Per paradosso i toni di Renzi gli consentono di ribaltare la sua posizione da accusato in accusatore; da responsabile di una irriflessiva accelerazione solitaria a vittima di un attacco poco «trasparente» e con «obiettivi» non chiari.

Le nuove tensioni arrivano nel giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lancia un nuovo appello alla «serietà» e all’«unità». Il Next generation Ue è «una grande opportunità che non possiamo disperdere», dice. La pandemia ha messo in ginocchio il paese, «il dopo-pandemia può essere un ponte verso una società più giusta e inclusiva o verso una società con squilibri irrisolti». Il presidente resta al di sopra dei guai della maggioranza, ma il premier può interpretare queste parole come un sostegno. E così quelle del Pd, che invece mercoledì scorso al senato aveva applaudito Renzi anche nei passaggi più duri. «Sul Recovery oggi il ministro Enzo Amendola ha confermato che dopo l’ok al testo si apre una fase di confronto in cui chiamare tutti a contribuire per arricchire e migliorare la proposta», dice Zingaretti, «Questo è lo spirito giusto», «l’opposto di parlare di crisi». Parole che vanno in un’altra direzione anche rispetto a chi, in parlamento, aveva chiesto al premier «maggiore umiltà», come il capogruppo della camera Graziano Delrio.

Una vaga verifica

Così Conte può negare di essere «arrogante» prima di “concedere” la verifica che del resto ormai non può più evitare. Ma la disegna confusamente. Prima l’incontro con i singoli partiti, poi un confronto «collettivo». In realtà da settimane i due tavoli della maggioranza, quello sulle riforme e sul programma e quello sulle misure economiche e sulla giustizia, si sono arenati. La responsabilità è di Renzi che ha cambiato idea sulla legge elettorale: dopo aver votato un testo proporzionale è tornato al maggioritario. Il Pd si è appellato al premier perché mettesse ordine all’alleanza, ma la richiesta è caduta nel nulla. Fino all’accelerazione di sabato scorso, quando a mezzo stampa Palazzo Chigi ha annunciato la task force e il sostanziale commissariamento dei ministri.

«Ben vengano tutte le proposte per migliorare la capacità amministrativa dello Stato», ribatte Conte, ma «questa struttura non vuole e direi non può esautorare i soggetti attuatori dei singoli progetti, che saranno amministrazioni centrali e periferiche. Noi però abbiamo bisogno di una cabina di monitoraggio, altrimenti perderemmo soldi». Deve trovare comunque una via d’uscita: promette che i progetti passeranno dal parlamento, ma sa che se non mette mano alla sua idea di task force Iv non la voterà nel consiglio dei ministri.

Tradimento

Andrea Orlando, il più alto in grado al tavolo del programma, da La7 accusa l’alleato: «Quando si schiaccia l’acceleratore si sa quando si inizia ma non quando si finisce: in questo momento una crisi di governo ci porterebbe in una situazione drammatica», «l’Italia si troverebbe chiamata alle urne mentre arrivano i soldi del Recovery». Iv fa sapere che le parole al Pais sono le stesse usate in aula, ma per Orlando «tutto ci si poteva aspettare, tranne che parlare di golpe e crisi di governo mentre è in corso un vertice sul destino del Recovery fund». Il futuro di questo governo «dipende da Conte», avverte Renzi. Ma il Pd non lo segue più.

La risposta di Conte quindi non è spaventata: «Io ho la piena responsabilità e consapevolezza di questo incarico, e sono pienamente edotto del fatto che andrò avanti con la fiducia di ogni forza di maggioranza e di tutte le forze complessivamente».

© Riproduzione riservata