La maggioranza «Ursula», quella della Commissione europea ma in versione italiana prende forma. In poche ore cambia tutto. È già tutto cambiato quando inizia il primo giro di consultazioni di Mario Draghi, a Montecitorio, con “i piccoli” nel pomeriggio. Miglior benvenuto non era immaginabile. La radicale Emma Bonino, europeista doc, guida la delegazione di +Europa e Azione, ci sono Carlo Calenda, Matteo Richetti, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi, tutti puntuti critici di Giuseppe Conte e tutti più che favorevoli all’insperato salto di qualità: «Non abbiamo messo nessuna condizione», riferisce all’uscita, «abbiamo dato suggerimenti su temi come i vaccini, il Recovery plan, le donne». La questione della presenza delle donne nel prossimo governo agita le forze politiche: nel totonomi circolano poche ministre.

Ma siamo ai preliminari del primo giro. Oggi tocca alle Autonomie, a Leu, Italia viva, Fratelli d’Italia, Pd, e Forza Italia-Udc. Domattina alla Lega. Il centrodestra non si presenta con la delegazione unitaria che Matteo Salvini aveva promesso. Stavolta, con Draghi in campo, in Forza Italia sarebbe partita la rivolta. E la scissione, stavolta sì. Silvio Berlusconi lo ha spiegato prima ai suoi più stretti – Antonio Tajani, e Licia Ronzulli, gli ultimi a convincersi –, poi agli alleati. Berlusconi si avvia a dire sì all’ex presidente Bce, perché la scelta «va nella direzione che avevamo auspicato». Ma c’è ancora qualche giorno per ufficializzare la scelta. Ci sarà un secondo giro di consultazioni. Il premier incaricato è notoriamente un meticoloso, prende molti appunti e si presenta da solo nella sterminata sala della Regina, con due alti funzionari della Camera. In questo primo giro ascolterà.

Incognita M5s

Ma la sua maggioranza prende forma anche fuori da palazzo. Ai Cinque stelle è bastato un giorno per cambiare idea, di nuovo, passare dalla sentenza «no a Draghi» pronunciata da Vito Crimi nel corso di una agitata videoriunione dei parlamentari, al sì sempre più vasto, tranne pochi irriducibili. Anche Beppe Grillo cambia idea e si attacca al telefono per parlare della «grande opportunità» di restare al governo anche se non ci sarà più Giuseppe Conte, per difendere quello che è stato fatto – reddito di cittadinanza, norme anticorruzione – e rilanciare reddito universale, patrimoniale per i super-ricchi, acqua pubblica, conflitto di interessi. Purché Draghi proponga un governo «politico». All’ora di pranzo il ministro Luigi Di Maio anticipa il suo sì, e attenua così il colpo di scena che Conte in quei minuti sta preparando. Il suo portavoce Rocco Casalino convoca i cronisti davanti al portone di palazzo Chigi per le 13 e 30, c’è solo un tavolino per i microfoni, l’uscente arriva come sempre in ritardo: «Qualcuno mi descrive come un ostacolo alla formazione del nuovo governo, non mi conosce o è in mala fede», ce l’ha con i giornali che lo descrivono indeciso e tormentato, «i sabotatori vanno cercati altrove», ce l’ha con Matteo Renzi che lo ha mandato a casa. «Auspico un governo politico». È un consiglio a Draghi, anche una condizione. Poi l’appello agli «amici del Movimento»: «Io ci sono e ci sarò», e agli alleati Pd e Leu «il lavoro “insieme” continuerà». Pd e Leu si sperticano in lodi. La sera prima in una riunione della ex maggioranza Nicola Zingaretti e Nicola Fratoianni hanno provato a convincere i colleghi M5s che restare uniti significherebbe dare una larga base parlamentare al nuovo governo, e determinarne il segno. Ma sono il pressing di Dario Franceschini e le telefonate di Goffredo Bettini a convincere il premier uscente al gesto che cambia il vento nei Cinque stelle. Salvini ci resta male: «Draghi dovrà scegliere tra Lega e M5s», avverte. Ma l’«europeista» Giancarlo Giorgetti lo marca stretto.

Il Pd si dichiara «alternativo alla Lega» ma rispettoso del «perimetro» che Draghi vorrà dare al suo governo. L’ala zingarettiana è ancora sotto shock per la rottura di Renzi. Ma ha lavorato a tenere insieme la vecchia alleanza per scongiurare l’idea di un governo con la Lega. Il segretario riunisce la direzione e chiede un nuovo mandato a trattare, stavolta è un grande ritorno: un governo che comprenda anche Forza Italia. «Il Pd lavorerà a un governo marcatamente europeista, portando il suo contributo riformista e progressista», «La personalità di Draghi è di assoluta forza e grande valore. Può essere la soluzione per portare l’Italia fuori dalla situazione caotica e dal rischio di paralisi che la crisi ha determinato». Inseguire il Conte ter è stato un fallimento, ma «non ha fallito la politica», spiega, «le responsabilità sono note a tutti». Intende Renzi, che invece si intesta la scelta di Draghi. Fuori dalle riunioni ufficiali il totoministri impazza, i nomi – dal Pd ma anche da M5s – sono quelli di sempre. Ma fin qui si fanno i conti senza Draghi.

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