La trattativa governo-Cinque stelle sulla riforma dei tempi della giustizia penale fa passi avanti. Si tratta e non è detto che vada tutto liscio. Ieri la ministra Marta Cartabia ha incontrato il presidente Mario Draghi a palazzo Chigi. Martedì mattina Giuseppe Conte dovrebbe essere alla Camera a rassicurare i suoi. Lunedì pomeriggio fonti pentastellate di Montecitorio facevano sapere che l’apertura della ministra alla modifica dei tempi dell’improcedibilità per reati di mafia e terrorismo è stata molto apprezzata.

«Si sta trattando, speriamo che vada bene», viene spiegato. Da una parte Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e i funzionari della ministra. Dall’altra l’ex premier alla sua prima vera prova da leader e da capo dei gruppi parlamentari del M5s. Ieri ha ricevuto l’aiutino del ministro Luigi Di Maio: «Sostengo il lavoro che sta portando avanti Conte e sono certo che troverà una soluzione all’altezza delle nostre aspirazioni». Poche parole, ma indispensabili a calmare i parlamentari.

Però nella maggioranza resta maretta: Forza Italia e la Lega sono sempre più irritate da quello che considerano un cedimento al populismo giudiziario dei grillini da parte della ministra. In realtà non è così, o non precisamente. Gli emendamenti, approvati in consiglio dei ministri sul nuovo sistema di prescrizione e di improcedibilità già prevedevano un trattamento particolare per i reati puniti con l’ergastolo, quindi non soggetti al regime di improcedibilità. Non solo, processi di questo tipo vengono trattati con priorità già dall’ordinamento. Ma alcune voci dall’interno del ministero della Giustizia ammettono che la riforma «innovativa» e che ha subito trovato buona stampa, conteneva, ed è un eufemismo, qualche «sbavatura». La ministra se ne è accorta ascoltando l’ampio spettro delle critiche provenienti dal mondo della magistratura. Qualche indispensabile correzione sarebbe attesa anche dal Colle.

Il lodo Conte

Il nuovo testo che dovrebbe essere approvato dalla commissione entro la settimana, per poi andare in aula ed essere licenziato con un voto di fiducia, troverà il modo tenere fuori dall’improcedibilità, probabilmente grazie a una norma transitoria, anche altri processi “pesanti”. Tra gli emendamenti proposti dal Pd (il lodo Serracchiani, ovvero l’«atterraggio morbido» della riforma, «l’appello allungato di tre anni anziché due per tutti i reati permettere agli investimenti sul sistema-giustizia di produrre effetti») e quelli di Leu (il lodo proposto da Federico Conte di Leu, ovvero nella fase di appello, in caso di condanna in primo grado la proroga del termine per reati di grave allarme sociale, inclusi quelli di corruzione con concussione, raddoppiata due anni in più, più altri due se necessario) una soluzione viene considerata a portata di mano.

Ma in realtà ieri in commissione Giustizia della Camera tutto si è rimesso in movimento. Nell’ufficio di presidenza, chi teme un fallimento dell’approvazione della riforma prima dell’estate – che è quasi sinonimo del fallimento tout court, visto che si tratta di una riforma indispensabile per il Pnrr – racconta della sensazione di svuotare il mare con una conchiglia. Da una parte si fa un passo avanti, e la valanga di emendamenti presentati, in gran parte dei grillini, diventano circa 400 “segnalati” (quelli considerati importanti dalle forze politiche). Dall’altra però arriva un altro stop. Fratelli d’Italia, che si è vista respingere dal presidente della commissione gli emendamenti sul ridimensionamento del reato dell’abuso d’ufficio, fa ricorso al presidente della Camera Roberto Fico. E Forza Italia, di concerto, chiede l’allargamento del perimetro degli emendamenti.

Forza Italia minaccia

Attaccano divisi, colpiscono uniti. Per il Pd è solo «fuffa»: il reato di abuso di ufficio è già stato svuotato, e soprattutto la riforma riguarda i tempi della giustizia. Fico promette «una valutazione squisitamente tecnica». L’ufficio di presidenza della commissione è aggiornato a stamattina. Ma se gli emendamenti fossero di nuovo respinti Forza Italia, FdI e anche Lega, con toni più sfumati, avvertono che non voteranno la riforma. Del resto l’allargamento del perimetro del testo si vota in commissione, dove i due schieramenti sono sul filo. Ma se passasse, significherebbe ricominciare daccapo: istruttoria, audizioni, emendamenti. «L’ampliamento del perimetro è una boiata perché così si va a settembre. Lega e FI si assumeranno la responsabilità di andare contro il governo», sbotta Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione. «Così non si rispetta l’impegno posto dal presidente Draghi di chiudere entro l’estate».

C’è anche una guerra nella guerra. Quella di Pd contro Iv, e viceversa. Bazoli se la prende anche con la poca chiarezza di Italia viva, che a sua volta si scatena contro l’ostruzionismo dei Cinque stelle e l’accondiscendenza dei dem. Forza Italia, dinanzi all’eventualità che i grillini possano sbandierare la vittoria di un emendamento firmato dall’ex ministro Bonafede, quello su cui è andato a casa il governo Conte, minacciano sfracelli. Le opposte bandierine rischiano di mandare tutto all’aria.

Ma se le destre non sanno come uscire dall’angolo, anche per i Cinque stelle non sarà un pranzo di gala. La settimana durissima di Conte è cominciata ieri. Il futuro presidente del Movimento, che dovrebbe essere incoronato nel voto del 2-3 agosto, resta stretto fra la linea dura di Draghi, la necessità di segnare una presenza nella maggioranza, i malumori nei gruppi parlamentari e anche quello degli elettori. La sfida sulla riforma Cartabia ha già effetti nefasti sugli eletti: mentre lui e i membri della commissione Giustizia cercano di trovare un accordo, i gruppi sono percorsi da continue tensioni.

Da settimane, dopo il voto di fiducia dato obtorto collo al decreto Sostegni bis, una buona parte dei deputati grillini si è sentita tradita e quindi guarda con un certo malumore al nuovo corso del Movimento. «La semplificazione delle norme ambientali contenuta in quel testo andava contro i nostri principi», dice Giovanni Vianello, tarantino, che ha detto no al provvedimento e poi si è anche rifiutato di votare la fiducia immediatamente successiva. «Ormai siamo una replica della Dc, con la differenza che i democristiani queste cose le sapevano fare ed erano radicati sul territorio. Noi neanche quello».

Ma il grosso guaio è sulla riforma Cartabia: nei giorni scorsi in quasi trenta si sono detti pronti a negare la fiducia se il provvedimento non cambia in profondità. Le aperture del governo non sono ancora considerate abbastanza: anche le voci più moderate nel Movimento avvertono che limitarsi a un’eccezione per quei reati significherebbe non contemplare per esempio tutte le varianti aggravate che hanno dato origine a numerosi maxiprocessi in corso in tutto il paese.

È complicato anche solo immaginare un punto di caduta che non apra crepe.

Tra oggi e giovedì Conte riceverà i parlamentari, divisi per commissione, per discutere incombenze, linee di programma e, naturalmente, la riforma della giustizia. Il fatto che nel pomeriggio di ieri sia sceso in campo anche un nome di rilievo come Di Maio, che raramente si espone su questioni interne del Movimento, dà la misura di quanto forte sia lo scontento. Di qui la necessità di una rassicurazione: «Serve unità interna, perché stiamo giocando tutti la stessa partita e stiamo remando tutti verso la stessa direzione. Scontri interni rischiano solo di allontanarci dai problemi del paese e indeboliscono il Movimento, dunque lavoriamo insieme, dialoghiamo e pensiamo a trovare soluzioni»

Resta il sospetto che alla fine quel che porterà a casa Conte dalla sua mediazione, qualunque cosa sia, possa bastare.

Nelle ultime settimane i Cinque stelle sono andati troppo vicino a uno scontro interno insanabile tra i leader e il fondatore. Che infatti ha evitato di entrare nel dibattito per non creare ulteriori tensioni.

Il ricordo dello scontro con Grillo, con il conseguente pericolo “fine di mondo” è ancora molto vicino, nessuno vuole tornare in quella situazione. Comunque vada, gli eletti si preparano a celebrare il successo del loro nuovo leader alla sua prima crociata, e poi a dare il via libera al testo.

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