Lo statuto c’è, la riforma pure, manca solo l’incoronazione del leader. Che dovrebbe arrivare venerdì 6 agosto, dopo la due giorni in cui gli iscritti dovranno esprimersi su Giuseppe Conte votando sulla piattaforma SkyVote. Ma il sospirato debutto non sarà per niente facile.

Alla Camera, dopo la faticosa settimana che ha portato all’approvazione della riforma della giustizia, i grillini tirano un respiro di sollievo. «Il clima è sicuramente migliore che nei giorni scorsi», dice una deputata, ma non è stato facile portare a casa un voto più o meno compatto (ci sono state comunque defezioni, 13 assenti e due voti contrari) su un testo controverso per il M5s come quello di Cartabia.

Le ultime ore sono state preziose per mettere a punto la comunicazione interna, per chiarire ai parlamentari quali traguardi sono stati raggiunti con la mediazione di Conte: a questo sono servite le diverse riunioni con l’ex premier, ma anche un evento legato all’organizzazione della campagna elettorale di Virginia Raggi in cui si sono incrociati deputati e senatori. Resta da vedere anche quale sarà la punizione per chi non si è uniformato ai dettami del nuovo leader del Movimento, che aveva insistito affinché tutti i deputati fossero presenti: a rischiare di più sono Giovanni Vianello e Luca Frusone che hanno votato contro, ma tra le file del gruppo della Camera si confida nel fatto che Conte non voglia applicare la “cura Crimi”, che puntava sull’espulsione dei dissidenti.

Ma nonostante le parole di fiducia e sostegno che accompagnano l’ex presidente del Consiglio, le realtà è molto più complicata. A cominciare dal voto che ha approvato il suo «statuto seicentesco» (copyright Beppe Grillo): hanno partecipato 60mila votanti, poco sopra il quorum di 57mila. Il rinvio del voto alla seconda convocazione è stato scongiurato di pochissimo. Sarebbe stato un disastro per Conte, che aveva auspicato un sostegno larghissimo al suo progetto di rinnovamento. Alla fine è arrivato il supporto dell’87 per cento dei votanti.

Partenza in salita

Ora bisogna vedere come andrà la votazione sulla sua leadership che per molti attivisti è il sinonimo del “nuovo” Movimento, quello che ha perso per strada le istanze per cui lottava ai tempi dei primi V-Day.

I parlamentari aspettano e intanto guardano i sondaggi, sempre più preoccupanti. «Spacciare come momento di convolgimento il voto sullo statuto è ridicolo, il coinvolgimento per definire la linea doveva arrivare ben prima», dice un deputato. Adesso c’è da vedere quale sarà la struttura portante del nuovo M5s. Quali saranno i nomi che Conte sceglierà per la sua segreteria e quelli che inserirà Grillo negli organismi che rispondono direttamente al garante.

Per il primo si prevede, oltre ad alcuni membri di diritto, che l’avvocato del popolo attinga al bacino dei suoi fedelissimi a palazzo Madama per creare una squadra forte intorno a sé, soprattutto considerato che nel Comitato di garanzia, uno degli organi di controllo a disposizione di Grillo, un posto dovrebbe andare a Luigi Di Maio. L’altro volto famoso del Movimento, intervistato ieri da Repubblica, ha ribadito la sua fiducia nel neoleader, ma contemporaneamente ha spiegato che «da giorni sono io che ricevo attacchi con delle veline e confido ancora che arrivino smentite. Quello che non si è capito è che queste diatribe interne non indeboliscono solo il Movimento, ma chi lo guida».

Parole che fanno immaginare una spartizione di potere tra gli organi che rispondono a Grillo e quelli che si rapportano con Conte. Una divisione che sembra proseguire gli scontri di fine giugno che rischiavano di far saltare quello che è ancora il primo partito in parlamento.

Conte avrà presto occasione di riscattarsi, ma senza il pieno controllo dei gruppi e un sostegno incerto da parte della base è difficile prevedere se le sfide dell’autunno rafforzeranno la sua posizione di leader indiscusso o si trasformeranno in potenziali sconfitte.

Al di là del dossier amministrative, dato ormai per perso dalla gran parte dei grillini, anche se nessuno vuole ammetterlo e i vertici si stanno ancora affannando a completare le liste dove mancano (vedi Milano), si pensa già alla battaglia sul reddito di cittadinanza: oltre a Matteo Salvini e Matteo Renzi, già pronti a fare di tutto per cancellare la norma, la possibile riforma di questa “misura simbolo” potrebbe trasformarsi in un conflitto tra i vertici del M5s e il ministero del Lavoro. Conte ha già promesso che difenderà la norma a ogni costo, ma anche sul modo in cui dovrà evolversi non c’è sintonia nel Movimento. Una fetta degli eletti vorrebbe finalmente vedere più politiche attive e meno assistenzialismo. Per ora il reddito di cittadinanza è l’unico argomento su cui l’ex premier ha esplicitato la propria linea. Per il resto, dal ddl Zan, su cui aveva taciuto, all’immigrazione, su cui aveva preso posizioni contrastanti, è ancora tutto da vedere.

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