Per il leader del M5s i dem sono «troppo plurali: devono chiarirsi». Rabbia dei riformisti. La segretara evita di replicare agli attacchi
Il giorno della manifestazione per l’Europa è arrivato, ma sull’evento a piazza del Popolo si allungherà l’ombra dello scontro interno al Pd che ha scatenato il voto della delegazione dem all’Europarlamento sul cosiddetto Libro bianco della difesa, ossia il sostegno in linea di massima al piano per la difesa sviluppato da Ursula von der Leyen. La spaccatura interna al gruppo parlamentare europeo pesa ancora: dieci parlamentari hanno votato a favore del piano di riarmo, undici si sono astenuti come da indicazione della segretaria, con Lucia Annunziata che ha spiegato in un’intervista di essersi astenuta per lealtà verso la segretaria, ma di non disapprovare il piano di difesa nel merito.
Intanto la polemica sollevata da chi si è trovato in disaccordo con il Nazareno resta in attesa di una replica da parte di Elly Schlein. Che, però, ha già giurato ai suoi che non ci sarà nessuna resa dei conti. «Chi la chiede tenga conto dei milioni di voti che ha recuperato portando il partito dal 14 al 22 per cento nei sondaggi» spiega una fonte parlamentare. A guardare da fuori i travagli del Pd, forse anche con i leggendari popcorn di un noto ex segretario di partito, attualmente c’è invece Giuseppe Conte.
Il presidente del M5s sta preparando la sua piazza del 5 aprile, per la quale ha promesso – con una mail agli iscritti che Domani ha potuto visionare – di mettere a disposizione cento biglietti aerei scontati a venti euro andata-ritorno per i militanti sardi che vogliono partecipare ma non se lo «possono permettere».
Nel frattempo, Conte non ha esitato a mettere il dito nella piaga commentando le tensioni nel Pd durante la sua intervista alla sede della stampa estera. Continua il tour mediatico del capo dei Cinque stelle, che sta cavalcando l’onda pacifista ed è pronto a usare toni parimenti critici con Giorgia Meloni come con l’Unione europea. Toni più morbidi nei confronti di Vladimir Putin, che pure viene riconosciuto come responsabile dell’aggressione all’Ucraina: «Non sono scenari dove c’è chi ha assolutamente ragione e chi no. Putin lo ha dichiarato da sempre, il problema era l’avanzata della Nato». Stesso discorso per Donald Trump: «Io ci ho lavorato e distinguerei quello che viene detto da quello che viene fatto. Ci sono molte affermazioni assertive ma è anche nello stile di alzare la posta e poi atterrare su una posizione che è un punto di vantaggio per gli Usa rispetto a quello precedente. Il punto di atterraggio è sempre diverso da quello delle affermazioni».
L’ex premier ha spiegato di essere d’accordo con la linea della segretaria: «Ho apprezzato molto Schlein, e questa è una buona premessa per progettare un’alternativa al governo Meloni delle forze progressiste, anche perché la politica estera ne sarà uno dei punti centrali» ha detto. «Se l’alternativa a Meloni è essere come Meloni acquiescenti a Washington sarebbe un disastro, che poi ti porta a votare con Meloni per il riarmo» è il pensiero del capo del Movimento.
La replica dei riformisti
Ma a Conte non basta benedire la linea che ha portato il Pd a dividersi, unica delegazione a votare, in parte, contro il resto del gruppo socialista. «Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito “troppo plurale”. Qualche chiarimento adesso andrebbe operato» dice l’ex presidente del Consiglio, «ma non riguarda me, riguarda un’altra forza politica», aggiunge velocemente alla fine.
Un commento percepito da più di qualcuno come un dito nell’occhio. Anche i più affezionati al rapporto con i Cinque stelle ricordano che «quando loro erano in difficoltà, noi non siamo mai entrati nelle vicende del M5s, ma anche stavolta non ci esponiamo». Una linea che non vale per tutti, con buona pace dei buoni propositi della segretaria, che continua a raccomandare da mesi ai suoi di non cadere nelle provocazioni che arrivano da fuori.
Rispondono infatti a tono i riformisti, già sugli scudi dopo l’intervista durissima di Luigi Zanda a Lilli Gruber in cui l’ex senatore e fondatore del Pd segnalava come le recenti divisioni e i distingue europei – che hanno peraltro come protagonisti parlamentari eletti nelle liste compilate la scorsa primavera dalla stessa segretaria – richiedessero un congresso a stretto giro.
Obiettivo: mettere a punto una linea di politica estera comune con abbastanza anticipo rispetto alle elezioni politiche (a cui in ogni caso, dal punto di vista di Zanda, la candidata premier non potrebbe essere Schlein). A fargli eco sulla questione del congresso, anche se con toni diversi, è arrivato ieri Romano Prodi. «Vedano loro, essendo un Partito democratico, mi piacerebbe che ci fossero congressi in tutti i partiti, mentre invece non è che succeda spesso».
A Conte ha replicato nel pomeriggio il senatore Filippo Sensi: «Siamo troppo plurali, dice quello. E aggiunge: servirebbe un chiarimento. A casa nostra, mica la sua. Magari conta su purghe, epurazioni. Come hanno sempre fatto da lui. Ci vorrebbe più rispetto». Segue la collega Simona Malpezzi: «Ognuno dovrebbe imparare a guardare in casa propria. A casa nostra abbiamo regole, statuti e pure una grande e lunga storia che merita rispetto», sulla stessa lunghezza d’onda il capogruppo dem in commissione Politiche europee alla Camera, Piero De Luca: «Non credo onestamente ci sia troppo pluralismo nel nostro partito. Ci sono confronti, discussioni, che ognuno porta avanti per dare un contributo positivo e costruttivo alla nostra comunità».
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