Contro la doppia trappola del referendum sulla giustizia

Avanzano due modi di condurre (e perdere) la prossima campagna referendaria, che contengono due trappole, una tecnica e una politica. Il primo è quello che desidera il ministro della Giustizia Carlo Nordio. La trappola del quesito tecnico. Due giorni fa ha affermato di volersi confrontare solo con figure qualificate, «se il presidente dell’Anm non accetterà ne trarrò le conseguenze», ha minacciato l’ex magistrato, ora biografo di Churchill, con tendenza all’emulazione. Il referendum sulla Costituzione come scontro tra toghe, una resa dei conti nella corporazione, una valvola di sfogo per frustrazioni da tempo represse e vanità finalmente sfoggiate. Speculare al guanto di sfida di Nordio c’è il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, che chiede ai magistrati del No di non confondersi nei comitati e nelle manifestazioni con i politici. I risultati si vedono: citazioni fantasma o, al contrario, il cinismo del ministro (lui sì che di politica se ne intende, ha letto Churchill) che consiglia a Elly Schlein di appoggiare la riforma perché un potere giudiziario con le unghie tagliate va bene a tutti i governanti, di oggi e di domani. Velocizza i processi? Elimina le correnti? Sottopone i pm al governo? La riforma della giustizia in 14 risposte Politicizzare lo scontro Il secondo modo è politicizzare lo scontro referendario, trasformarlo non in un referendum pro o contro Giorgia Meloni, come sarebbe corretto, ma pro o contro l’opposizione, anzi, per dire meglio, pro o contro la segretaria del Pd Schlein, come scrivono da settimane i giornali di destra e i loro fiancheggiatori. Così il referendum confermativo, previsto dall’articolo 138 della Costituzione come garanzia per le minoranze, si trasforma nell’opposto, una clava che la maggioranza di governo (che non rappresenta la maggioranza del paese) sferra addosso ai partiti dell’opposizione. È la trappola del quesito politico, da cui liberarsi. Esiste un terzo approccio, per non cadere nelle trappole. È quello che ha proposto su Domani Rino Formica, che ha «la memoria di un centenario», come ha scritto, e la passione di chi si iscrisse a 16 anni al Partito socialista (era il 18 novembre 1943: auguri!). «La nostra Costituzione rappresentò una grande novità nella definizione degli equilibri delle forze politiche nella società. La Carta è il programma politico di uno stato democratico antifascista, nato dalla tragedia della Seconda guerra mondiale, in cui i poteri venivano fusi in un equilibrio politico-costituzionale», ha scritto Formica. Da Montesquieu a Nordio, la riforma della giustizia dimentica la divisione dei poteri Demolire l’equilibrio Quell’equilibrio è stato frantumato nell’ultimo quarto di secolo, allo sfascio hanno partecipato tutti i partiti. Cominciò il centrosinistra, con il federalismo approvato nell’ultima seduta della legislatura, l’8 marzo 2001 (seguì referendum confermativo). La riforma del Titolo V, rimasta senza padri negli anni successivi, maledetta da politici, editorialisti, tecnici di ogni colore: la premessa del disfacimento dello stato, visto nei mesi durissimi dell’emergenza Covid, l’immagine del “paese Babele”, il virus della divisione tra le regioni, la drammatica commedia delle venti sanità. Il taglio dei parlamentari, nel 2019, voluto dal Movimento 5 stelle, approvato nel voto finale dal 97 per cento dei deputati, 533 sì e 14 no, e poi dai cittadini con il referendum. Si promise un taglio dei costi delle Camere e un aumento dell’autorevolezza dei deputati e senatori. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i costi sono rimasti invariati, i parlamentari sono più deboli, meno autorevoli, in mano a un pugno di capi-partito. Il parlamento mutilato, con i banchi vuoti di Montecitorio e palazzo Madama, ha anticipato il dimezzamento degli elettori. In mezzo c’è stato il referendum sulla riforma Renzi, il Senato delle regioni al posto del Senato elettivo. Più quattro leggi elettorali in trent’anni, di cui due dichiarate incostituzionali, una addirittura prima di essere sottoposta agli elettori. E ora si prepara la quinta legge elettorale, ancora una volta a colpi di maggioranza. Tutto questo ha ingrossato le file dei professionisti del bric-à-brac costituzionale, in cui si trafficano riforme a pezzetti. Ma ha allontanato i cittadini dalle istituzioni. Referendum sulla giustizia, Schlein e Meloni hanno tutto da perdere Un paese frammentato La riforma Meloni-Nordio non fa eccezione, anzi. Indebolisce la magistratura, la svuota, creando tre micro-poteri (la magistratura requirente e giudicante, ciascuna con il suo Csm, più l'Alta corte) che si paralizzeranno a vicenda. Lo slogan scelto dal comitato del Sì, Si-separa, contiene da questo punto di vista una verità all’insaputa. Le riforme per svuotamento hanno separato il paese, lo hanno ulteriormente frammentato, invece di unirlo. Per la destra significa affidare una sola persona il potere di governare sulle macerie. Come ha scritto Formica, la questione non è se votare Sì o No a questa riformicchia. Ma uscire dalle trappole tecnica e politica e smettere di accettare che di riformetta in riformetta si consumi la Costituzione, lo stato, il senso del nostro stare insieme. Guardare la luna, non il dito: la riforma della giustizia è il tassello di un disegno