Non ci sono spie «attenzionate» dai nostri servizi segreti dentro la tv pubblica, non c’è un’attività «occhiuta» che potrebbe ricordare, per dirla con ironia, una storia di Le Carré o, per dirla più seriamente, un’inquisizione alla McCarthy. Il tema che il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ieri ha messo in luce con l’audizione dell’amministratore delegato Rai Carlo Fuortes, è più generale. È in atto un fenomeno di infowar, viene direttamente dal Cremlino e supporta la guerra di invasione contro l’Ucraina. I media, pubblici e privati, debbono dunque avere una capacità di lettura di questo fenomeno. Poi ciascuno si regolerà come crede.

Questo almeno è quello che si riesce a ricostruire sull’incontro di ieri. Incontro secretato, come sempre. Il presidente Adolfo Urso (FdI), che pure negli scorsi giorni ha rilasciato molte “spiegazioni” sull’attività in cui è impegnato il Copasir, ieri ha riferito che l’audizione di Fuortes, «come quelle già svolte nei giorni scorsi con i direttori dell’Aise (l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ndr) e dell’Aisi (quella la sicurezza interna, ndr) si inquadra all’interno dell’approfondimento che il Comitato sta conducendo sulla ingerenza e sulla attività di disinformazione messe in campo da attori statuali, alla luce di un fenomeno reso ancor più preoccupante dopo l’invasione della Russia in Ucraina». Il confronto, secondo Urso, «si è rivelato proficuo, fornendo utili indicazioni al fine di preservare la libertà, l’autonomia editoriale e informativa e il pluralismo da qualsiasi forma di condizionamento e di accrescere il livello di resilienza dell’intero sistema paese».

Il ciclo di audizioni si è reso necessario, spiega Enrico Borghi (componente Pd del Comitato), anche rispondendo agli attacchi ricevuti: «La nostra competenza si attiva nel momento in cui sul nostro tavolo arrivano degli atti da parte del sistema dei servizi segreti. Abbiamo avuto dei rilievi ufficiali in documenti ufficiali, oltreché classificati, di questo tipo di attività. Dunque non potevamo non muoverci». «Il Copasir non si occupa né intende occuparsi di palinsesti, programmi tv o scelta degli ospiti», insiste Elio Vito (FI), «ma intende rappresentare non una preoccupazione bensì una realtà, denunciata più volte dai nostri organismi della sicurezza, dallo stesso Copasir nelle relazioni al parlamento e dalle autorità europee».

Fin qui le questioni di metodo. È scontato, dunque, che l’attività di scelta degli ospiti e degli esperti – come negli altri media – rientri nell’autonomia della Rai, in una catena che va dagli autori ai conduttori su fino ai direttori di testata (e non arriva all’ad). Ed è scontato che in questo ambito il Copasir non entri. Ma il Copasir non può esimersi dal trasmettere quello che a sua volta i servizi segreti gli hanno trasmesso.

Che, nella sostanza, mettono in guardia sul fatto che in quella attività squisitamente giornalistica ci si possa imbattere in un’attività di guerra ibrida pianificata quotidianamente e direttamente da Mosca, che si sostanzia in disinformazione, ingerenza, influenza, fake news, attacchi cibernetici, come è successo ad alcuni siti istituzionali mercoledì scorso.

Nessuna censura

Il passaggio chiave, il salto di qualità di questi mesi, sta nel fatto che si tratterebbe di una modalità funzionale al supporto della guerra russa in Ucraina. Un’attività che secondo i servizi sarebbe condotta incoraggiando la critica alle sanzioni contro Mosca, all’attività della Nato, al posizionamento dei governi occidentali. Qui il terreno si fa scivoloso, difficile da disintrecciare dalla libertà di espressione. Un problema consegnato ieri a Fuortes.

Lo stesso che mercoledì prossimo sarà consegnato a Giacomo Lasorella, presidente dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Per quello che riguarda la Rai, ci sono la libertà del giornalista, l’autonomia dell’azienda e il contratto di servizio. Il Copasir non chiede censure (non può, grazie al cielo) ma di garantire l’accesso alla libera informazione, criterio in base al quale la Commissione europea ha preso la controversa decisione di chiudere Russia Today e Sputnik, «armi nell’ecosistema di manipolazione del Cremlino» secondo Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera Ue.

Non sono state date dunque informazioni precise su soggetti determinati, che non ci sono. Di fatto tutto resta consegnato alla professionalità e alla sensibilità dei professionisti. L’ad Rai sarebbe stato reso consapevole che nell’attività editoriale normale il servizio pubblico, oggi più di ieri, si può imbattere in un tentativo di disinformazione.

Un esempio sono le ospitate di Nadana Fridrikhson, giornalista della tv Zvezda, di proprietà del ministero della Difesa russo. Non sta al Copasir stabilire che non si può fare. Il punto è avere gli strumenti per avventurarsi in quella sottile linea d’ombra fra informazione e propaganda. La deontologia professionale già sarebbe un potente antidoto alle fake news. Insieme alla sacrosanta correzione di qualche format: non a caso all’ultima audizione della Vigilanza Rai Fuortes ha annunciato l’intenzione di cambiare formula dei talk di informazione. Scatenando la polemica sul programma Cartabianca di Bianca Berlinguer, difesa da tutte le forze politiche, tranne il Pd ma per ragioni di format, appunto, ritenuto inadeguato.

Per il momento la Vigilanza non ha trovato un accordo sulle linee guida sugli ospiti delle trasmissioni informative Rai. M5s accusa il presidente Alberto Barachini di usare criteri o «ampiamente scontati» o tendenti a rasentare «l’ingerenza della politica» nell’informazione.

Secondo i documenti che solo il Copasir ha potuto visionare, ci sarebbe un altro livello di disinformazione, più subdolo, e dunque ancora più scivoloso: ci possono essere soggetti non necessariamente riconducibili all’infowar, reclutati anche inconsapevolmente, o “risvegliati” in questo contesto. Il Copasir sarebbe stato unanime nei toni dell’audizione, al netto del silenzio della Lega. C’è anche un corollario alla recente attività del Copasir: cambiare la legge sui servizi segreti. Nel 2007, la data dell’ultima riforma, non c’erano i social. E, tanto per fare un altro delicatissimo esempio, la legge preclude il contatto con chi è iscritto all’Ordine dei giornalisti, mentre in altri paesi i servizi fanno della disinformazione un elemento centrale della loro attività. Altro tema a rischio di cantonate e pulsioni di reclutamento, insomma di clamorosi scivoloni.

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