Questa volta è diverso. L’ottava campagna elettorale consecutiva di Silvio Berlusconi ha qualcosa di malinconico e insieme di drammatico.

Se è vero, com’è vero, che anche in politica la sindrome psicologica più diffusa è la coazione a ripetere, nel fondatore e leader di Forza Italia, questo automatismo a 86 anni, età che raggiungerà  fatalmente 4 giorni dopo il voto, sembra dominare la scena.

Il risultato è che la sua proposta al paese appare come un’enorme operazione nostalgia. La cartellonistica di Forza Italia, con tanto di una foto non proprio recentissima, la scrivania con il videomessaggio televisivo (pure quello sembra  “fuori synch” come di dice nel retrobottega delle sale di montaggio), gli slogan semplici, strepitoso quello su “un milione di alberi in più”, ci raccontano del grande venditore di talento e di successo, che ha saputo negli anni conquistare le menti con un marketing politico seduttivo.

E che torna sulla scena per l’ennesima replica, con tutte le armi collaudate della star del passato. Ma è come se i comprimari, la compagnia, la platea fossero profondamente cambiati nel grande teatro italiano.

La metamorfosi

Personalmente sono stato testimone di alcune campagne elettorali del Cav, negli anni passati. Anche da molto vicino, prima come responsabile di Matrix, poi come direttore di telegiornale in Mediaset.

Ho discusso con lui dei temi e dei problemi degli italiani e devo dire che nel Cav la passionaccia per la politica e l’interesse per le idee non sono mai mancati. In tante occasioni l’ho visto ascoltare e accettare punti di vista difformi, curioso del contributo di altri, dei suoi storici collaboratori, ma anche di interlocutori inaspettati.

Ricordo in particolare per la campagna elettorale del 2013 un drammatico confronto a palazzo Grazioli prima del Natale del 2012, in occasione della prima intervista televisiva nellla qualein qualche modo doveva mettere a fuoco temi e argomenti in vista delle successive elezioni.

La discussione allora non fu banale: il Cav era stato detronizzato da palazzo Chigi dopo l’infernale estate dello spread e la lettera della Bce firmata da Jean-Claude Trichet e da Mario Draghi, recapitata esattamente nove anni fa.

Lettera in cui si intimava all’Italia una serie di riforme, poi recepite dal programma del governo di Mario Monti. Che Forza Italia aveva dovuto appoggiare. I collaboratori del Cav erano preoccupati dei suoi toni verso Angela Merkel e Nicolas Sarkozy.

Alla fine, nella lunga intervista che realizzai per Tgcom24, Silvio Berlusconi tracciò il sentiero per dare il messaggio giusto a chi lo aveva liquidato, senza mettere a rischio la stabilità dei nostri conti e la fedeltà all’Europa.

Ma questa volta è diverso. La sensazione è che l’ultima fase della sua parabola politica sia per l’appunto una ripetizione di cose collaudate ma già viste e sentite, senza più riferimenti alla realtà di oggi, senza più l’attenzione agli interessi generali del paese.

Le polemiche sull’Arcore blindata e sul suo entourage attuale appaiono meschine, ma contengono in modo angoscioso la descrizione di questo ultimo scenario. Al di là delle suggestioni e delle impressioni, ci sono poi dati di fatto oggettivi.

Programma vago

I 15 punti del programma di centrodestra per la prima volta non contengono l’ipotesi di copertura relativa alla riforma proposta.

Sempre e dal 1994, nelle campagne elettorali del Cav, i vari Giuliano Urbani, Antonio Martino, Gianni Letta, Giulio Tremonti, Renato Brunetta avevano sottoposto il programma a una revisione contabile.

C’era sempre, all’interno della coalizione, chi poteva porre la questione: va bene proporre questa o quella riforma, ma dove prendiamo i soldi che servono? Questa volta è diverso.

È mancata la serietà di questa analisi di compatibilità economica. Il programma elettorale del centrodestra nel 2022 è un libro di sogni, come se chi si appresta a governare l’Italia avesse la disponibilità di soldi a fondo perduto. A pié di lista.

Sull’Europa e sul Pnrr ci sono poi passaggi inquietanti, proprio su un nodo cruciale, quando il programma stabilisce: «Pieno utilizzo delle risorse del Pnrr, colmando gli attuali ritardi di attuazione. Accordo con la Commissione europea, così come previsto dai Regolamenti europei, per la revisione del Pnrr in funzione delle mutate condizioni, necessità e priorità. Efficientamento dell’utilizzo dei fondi europei con riferimento all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime».

Il rischio enorme è che voler rivedere o rinegoziare il Pnrr bloccando anche la seconda tranche, quella di dicembre.

L’Europa, lo sanno bene Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sarà diffidente verso un governo di centrodestra in cui Silvio Berlusconi non rappresenti più quella garanzia di lealtà e di moderazione data nel passato.

La polemica con il Quirinale

La polemica, violenta e pericolosa, con il Quirinale è arrivata  dunque in questo contesto. La riforma presidenzialista solo enunciata e non dettagliata nel programma, pur affermando di voler tutelare le realtà locali  (quello del centrodestra è un presidenzialismo all’americana? Un semi presidenzialismo alla francese?) viene usata come arma contundente contro Sergio Mattarella, presidente rieletto anche con i voti di Silvio Berlusconi.

Mattarella è l’argine non solo simbolico ad ogni deriva populista, ad ogni bancarotta incipiente, ad ogni strappo con l’Europa. È un argine importante per i mercati e per gli equilibri internazionali.

Per sette campagne elettorali, Silvio Berlusconi era stato attento a questi equilibri. Questa volta è diverso.  


 

Alessandro Banfi

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