Fine della leggenda dei ballottaggi favorevoli al centrosinistra. L’ultimo rifugio sicuro per i progressisti è stato spazzato via dalle amministrative del maggio 2023. E così, mentre il governo è pronto all’assalto delle leggi elettorali dei Comuni per smantellare il secondo turno, i risultati confermano che non è il sistema di voto a determinare i vincitori. Contano l’offerta politica e i candidati messi in campo: le loro biografie hanno fatto la differenza in alcuni casi.

Da Ancona a Brindisi, passando per Pisa non ci sono stati i ribaltoni stile Roma, quando Roberto Gualtieri superò l’avversario Enrico Michetti, in vantaggio di 3 punti al primo turno.

Il ritardo dell’ex ministro, sostenuto dal centrosinistra, si trasformò in un divario del 20 per cento. In tempi più recenti, ad aprile, lo stesso è avvenuto a Udine con il netto sorpasso di Alberto De Toni su Pietro Fontanini, che aveva creato un certo disagio soprattutto nella Lega.

«Il meccanismo del ballottaggio non ha più senso di esistere, perché c’è un evidente rischio di distorsione della volontà popolare», commentò subito il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli. Mettendo a capo della linea anti-ballottaggi.

Congelamento al centro

L'analisi non va ridotta alla convenienza del secondo turno o meno, va condotta in un’ottica più ampia, come spiega a Domani il politologo, Salvatore Vassallo: «Queste elezioni hanno chiamato al voto le città di medie dimensioni dove il centrodestra è più forte, a differenza delle precedenti amministrative in cui si votava in città più grandi. Storicamente il centrosinistra ha un elettorato più forte nei grandi centri».

C’è poi un fattore legato ai profili dei candidati sindaci, con specificità locali, che secondo il docente di Scienze politiche ha «inciso principalmente a Pisa e Vicenza con un mini travaso di elettori». Nella città toscana, alcuni elettori di centrosinistra si sono orientati al voto per il primo cittadino uscente, Michele Conti, mentre viceversa una porzione di elettorato conservatore ha scelto Giacomo Possamai a Vicenza.

A Udine, invece, c’era stata una convergenza su De Toni per una valutazione personale, non per dispetto a Giorgia Meloni o a Matteo Salvini. Nelle città in cui c’è stato un congelamento dei consensi, ai ballottaggi hanno avuto un ruolo essenziale i centristi: «Gli elettori di Azione e Italia viva, in varie città, si sono divisi in maniera abbastanza equa tra centrodestra, centrosinistra e astensione. Quindi non c’è stato alcun impatto e hanno favorito il mantenimento degli equilibri del primo turno», argomenta Vassallo.

Nessuna smobilitazione

La dinamica ha favorito la tenuta del centrodestra. Lorenzo Pregliasco, analista e co-fondatore di Quorum e di YouTrend, aggiunge altre ragioni: «In diversi comuni l’affluenza è calata di poco, anche perché il livello del primo turno era già molto basso.

Ma questo significa che l’elettorato di centrodestra ha ritenuto di non smobilitare, valutando soddisfacenti le candidature e decidendo di sostenerle fino in fondo».

C’è da considerare un elemento più generale. «Il risultato di queste elezioni – dice Pregliasco a Domani – conferma un clima favorevole al centrodestra. Del resto i sondaggi nazionali indicano un vantaggio stabile di 20 punti della coalizione di governo rispetto agli avversari».

Resta sul tavolo un’altra disamina: «I candidati di centrosinistra hanno attratto voti in più nei ballottaggi, ma non sono stati sufficienti a rimontare perché erano molto più indietro al primo turno. La capacità aggregativa non è bastata. E su questo incide una debolezza generale della proposta politica di centrosinistra». Si torna all'importanza dei nomi, delle biografie.

Vassallo, infine, ravvisa un’iperbole nelle considerazioni post voto: «Prima delle amministrative c’è stata una percezione eccessiva sulla mobilitazione degli elettori di centrosinistra. Di contro c’è adesso un giudizioso eccessivamente negativo, anche perché in fondo rispetto al 2018 il centrodestra ha guadagnato qualcuno comune di medie dimensioni». Senza grosse sorprese.

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